Platone

Kant

Il Romanticismo

L'Idealismo

Hegel

 

ARTHUR SCHOPENHAUER

 

Il mondo è soltanto una mia rappresentazione

 

La vita è come un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia

Vita

 

Arthur Schopenhauer nacque nel 1788 e morì nel 1860. Visse il declino dell'Illuminismo, del Romanticismo e dell'hegelismo, ma ad influenzare il suo pensiero furono anche le sue vicende biografiche, come il suicidio del padre e i dissapori con la madre, che era una scritttrice e lo appassionò alla lettura.

Studiò filosofia e si appassionò al pensiero di Platone e di Kant.

 

Riprese da Platone e fece sua la distinzione della realtà in due mondi: il mondo vero, detto Iperuranio (il mondo delle idee) e il mondo sensibile e dell'imperfezione (il mondo in cui viviamo).

 

Criticò e contestò l'hegelismo; organizzò delle lezioni nella stessa università in cui insegnava Hegel, ma la sua aula era irrimediabilmente vuota, mentre Hegel riscuoteva grandissimo successo.

Lo definì un non filosofo, perché, per Schopenhauer, vero filosofo è colui che indaga la realtà elaborando un proprio pensiero, che va difeso anche a costo di risultare inattuali e contrari alla cultura dominante. Hegel invece era stato solo un servo del potere e la sua filosofia non era altro che un elogio delle istituzioni di potere.

 

Scrisse Il mondo come volontà e rappresentazione, che racchiude il suo pensiero. A differenza di Hegel, che scorgeva un risvolto positivo in tutto e secondo il quale il tragico poteva diventare comico, cioè positivo, il suo pensiero è pessimistico. Inoltre Schopenhauer contrappone alla ragione universale di Hegel un principio irrazionale, ma anch'esso infinito, la Volontà.

 

Viaggiò molto, anche in Italia.

Scrisse un'altra opera, Parerga e paralipomena (Parerga = appedice di un'opera; paralipomena = continuazione di un'opera precedente), un'opera dallo stile brillante e caustico. Quest'opera ebbe molto successo e, grazie ad essa, anche la sua opera precedente fu letta e rivalutata, ma soltanto negli ultimi anni di vita del filosofo, che morì nel 1860.

 

 Rapporti con Romanticismo, Criticismo e Idealismo

 

Schopenhauer condivide alcuni temi con il Romanticismo:

  • l'infinito: la volontà di cui ci parla è realtà infinita;
  • l'arte, considerata dai Romantici la via eccelsa per attingere l'infinito; Schopenhauer considera invece l'arte come via di liberazione dal dolore,
  • il dolore che connota l'esistenza umana. Anche per i Romantici la vita è sofferenza, ma essi ammettevano qualche spiraglio per il riscatto dell'uomo, mentre il pensiero di Schopenhauer è permeato dal più cupo pessimismo.

 

Schopenhauer è il fondatore dell’irrazionalismo: egli si oppone agli Idealisti e sostiene che la Ragione non è in grado di conoscere tutta la realtà e che l'uomo è un essere governato, come tutta la realtà, da un principio irrazionale. L’irrazionalismo caratterizza il pensiero europeo a partire dalla 2.a metà dell’800 fino al nostro secolo. L'irrazionalismo è il rifiuto di quella funzione creatrice che gli Idealisti avevano attribuito alla Ragione, ossia al Soggetto.

 

L’alternativa all’Idealismo è il ritorno a Kant. Punto di partenza è la distinzione tra fenomeno e noùmeno. La conoscenza è rappresentazione, relazione tra soggetto ed oggetto, che implica sempre un soggetto conoscente e un oggetto conosciuto, un oggetto come il soggetto se lo rappresenta attraverso forme soggettive. Mentre per Kant il fenomeno è la sola realtà conoscibile e il noùmeno è il limite della conoscenza umana, per Schopenhauer il fenomeno è pura illusione e il noùmeno è la Volontà, principio infinito di tutto il reale. Secondo Kant la cosa in sé era irraggiungibile. Per Schopenhauer essa è oggetto di intuizione, perché l’uomo può coglierla nel proprio Io e, da qui, estenderla a tutte le cose.

 

Il mondo come fenomeno

 

Il fenomeno non è la realtà: è un sogno, un’illusione, è come un velo di Maya (immagine dell’antica sapienza indiana), un velo ingannatore che ci mostra un mondo del quale non possiamo dire né che esiste, né che non esiste. Il mondo è soltanto una mia rappresentazione; esso esiste solo nella mente del soggetto, in quanto è nella coscienza che se lo rappresenta, ma di esso cogliamo solo l’apparenza fenomenica: la realtà ci appare come un sogno. Il mondo si riduce ad una nostra rappresentazione, un’apparenza dell’immaginazione che, incapace di vedere oltre il velo, che nasconde il vero volto della realtà, dispone le sensazioni e ordina le impressioni sensibili collocandole nello spazio e nel tempo (rappresentazione) e le collega tra loro secondo il rapporto causale.

 

Schopenhauer, dunque, riprende da Kant solo 3 forme a priori: due della sensibilità (spazio e tempo) e una dell’intelletto (causalità). Il mondo quale si presenta nell'attività conoscitiva dell'uomo è, dice Schopenhauer in piena fedeltà al kantismo, «rappresentazione» di molteplici dati sensibili ordinati secondo le forme trascendentali del soggetto conoscente; forme che il filosofo riduce a tre sole: spazio, tempo e causalità.

A differenza di Kant, che distingue il soggetto conoscente e l'oggetto e secondo il quale la realtà è fenomeno (reale), che conosciamo attraverso le forme a priori, per Schopenhauer la conoscenza fenomenica non è altro che illusione. Il fenomeno non è la realtà. La realtà come ci appare è pura apparenza ed è solo una rappresentazione, in cui soggetto ed oggetto sono uniti.

 

Il mondo come noùmeno

 

Se il mondo fenomenico è illusorio, ci domandiamo quale sia il mondo reale, il mondo della cosa in sé. La realtà vera è il noùmeno, la volontà di vivere, la realtà in sé, la realtà vera, che non è oggetto di conoscenza. Ma che cos’è la vera realtà? Per rispondere a questa domanda non dobbiamo considerare solo la nostra esperienza esterna, che ci fa conoscere il mondo come fenomeno e rappresentazione, ma anche considerare la nostra esperienza interna. Noi non conosciamo la volontà di vivere, il noùmeno, la realtà in sé, la realtà vera, ma possiamo coglierla mediante l’intuizione.

 

I filosofi precedenti avevano dimenticato che l'uomo non è solo ragione, intelletto, ossia che l'uomo non è soltanto una testa d'angelo senza ali (non è solo mente), ma è anche corpo, natura, istinti, azioni e volontà. Mediante il corpo l'uomo coglie la vera essenza di sé; con l’intuizione l’uomo coglie la volontà non solo come la sua propria essenza, ma come intima essenza di tutta la natura.

 

Ripiegandosi su se stesso, guardando nella propria interiorità, nel proprio profondo, l’uomo scopre di non essere solo conoscenza, ma anche brama di vivere; intuisce dentro di sé un impulso incontrollabile che lo spinge a vivere e ad agire. Tale forza non ha alcuna finalità, tranne quella di manifestarsi nell’uomo e in tutta la natura, Nella natura inorganica essa si manifesta come forza vitale, cieca e irrazionale che muove i vulcani e gli oceani e si manifesta nella gravitazione universale.

 

Negli animali e nelle piante essa si manifesta come istinto di autoconservazione, che anima le bestie feroci e fa vivere l’uomo, che spinge gli esseri viventi a soddisfare i propri desideri anche a danno degli altri animali.

 

Nell’uomo la volontà si manifesta, oltre che come istinto di autoconservazione, come desiderio. L’uomo scopre di desiderare la vita, di voler gioire e godere, ma scopre anche di soffrire: egli si scopre come volontà. La volontà di vivere è una forza oscura, che spinge l’uomo a desiderare, agire, lottare e soffrire. Essa si manifesta come istinto di conservazione (che comprende l’amore e l’odio, il piacere e il dolore, tutti gli impulsi e i moti dell’animo) e come desiderio.

 

L’uomo si accorge che la volontà di vivere è in lui e in tutti gli uomini, che è l’essenza vera dell’uomo. Egli scopre di avere una tensione continua a possedere ciò che non ha. L’uomo scopre di avere sempre bisogno di qualcosa che non riesce a possedere: è desiderio, tensione continua ed incessante a conquistare ciò che non possiede. L’uomo vuole, ossia desidera ed è sempre in tensione fino a quando non ha realizzato i suoi desideri.

 

La Volontà ci spinge a desiderare continuamente, è un’aspirazione continua ma, per un desiderio che viene soddisfatto, altri rimangono inappagati; inoltre l’uomo soffre e affronta dei sacrifici per realizzare i suoi desideri per cui, quando riesce a soddisfare il suo desiderio, l’appagamento è ben poca cosa e subito scompare, per dar luogo ad altri desideri, a nuovi bisogni e per alimentare la continua tensione che è in lui.

 

L’uomo è l’essere più infelice. La Volontà è più forte di noi e ci spinge ad agire, a desiderare e soffrire. A causa di questa tensione la vita è dolore, sofferenza e infelicità. Il piacere non ha mai una connotazione positiva, Schopenhauer lo definisce semplicemente assenza di dolore: il nostro piacere nasce nel momento in cui finisce il dolore, ma non vi sono momenti veri di gioia, piacere, felicità: essi sono sempre negativi, perché derivano dal superamento del dolore e dalla fine della sofferenza

 

Se il bisogno viene soddisfatto, si piomba nella sazietà e nella noia:

 

Il fine ... è illusorio: col possesso, svanisce ogni attrattiva; il desiderio rinasce sotto forma nuova e, con esso, il bisogno; altrimenti, ecco la tristezza, il vuoto, la noia, nemici ancor più terribili del bisogno.

 

In questo stato di continua insoddisfazione al dolore subentra la noia: una volta posseduto ciò che desideravamo, la cosa posseduta non interessa più e il pungolo del desiderio finisce col venir meno a causa del continuo desiderare; a furia di desiderare sempre, finiamo per avvertire un  senso di vuoto (noia);

 

perciò la vita è come un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia, passando attraverso la fugacità del piacere.

 

La volontà è universale e cosmica e ci spinge a desiderare sempre qualcosa. Tutti gli esseri viventi sono tormentati e angosciati. Il dolore e la sofferenza sono la caratteristica di tutti gli esseri viventi.

L'uomo, però, essendo dotato di intelligenza, avverte con acutezza questa sua condizione di sofferenza: l'uomo è un animale metafisico, è l'unico essere capace di stupirsi della sua condizione e di interrogarsi sul senso della vita. Quanto più sono intelligenti, tanto più gli uomini soffrono, perché sono maggiormente consapevoli del loro destino di infelicità (è questo il caso del genio). La vita è dolore e sofferenza per tutti: il dolore è il dato permanente dell’esistenza, a cui non possiamo sfuggire.

 

Schopenhauer perviene così ad una visione pessimistica dell’esistenza: non possiamo sfuggire al nostro dolore. A volte ci rifugiamo nella religione, ma essa è solo un’illusione, perché Dio non esiste (ateismo). Il Dio in cui vogliamo credere è l'infinito, a lungo cercato dall'uomo; l'errore dell'uomo consiste nell'attribuire a Dio sembianze umane e considerarlo Provvidenza. Colui che chiamiamo Dio non è altro che la Volontà, a cui attribuiamo il carattere della Provvidenza, nella speranza di trovare un conforto alle nostre inevitabili sofferenze. 

L'illusione dell'amore

 

Ci illudiamo di sfuggire al dolore grazie all’amore, ma anche questa volta si tratta soltanto di un’illusione. L’amore è uno dei più forti stimoli all’esistenza, è una manifestazione della volontà di vivere.

L’amore è un incontro tra due infelicità.  La procreazione, eternando la specie, eterna il dolore. L’amore comporta sempre la sessualità e, con essa, la procreazione; conseguentemente si mettono al mondo altre persone destinate a soffrire. Con l’amore l’uomo crede di poter essere felice; in realtà l’amore è lo strumento di cui si serve la volontà per affermarsi e per eternare il dolore perpetuando la specie. Attraverso la procreazione, la volontà ci fa soffrire e fa soffrire altri esseri.

 

L'illusione della socievolezza umana

 

Accantonata l'illusione dell'amore, resta l'illusione dell'uomo come essere sociale. Schopenhauer si oppone ad Aristotele, il quale aveva definito l'uomo un animale politico e a Rousseau, secondo il quale l'uomo è naturalmente buono: l'uomo è naturalmente asociale: noi non ci amiamo e non ci aiutiamo fra noi, ma ci danneggiamo reciprocamente. Il mondo è un inferno, dove ci sono diavoli e dannati, ossia coloro che fanno soffrire e quelli che soffrono per colpa degli altri. Perfino l'amicizia non è altro che convenienza: siamo amici di qualcuno perché abbiamo bisogno di lui.

 

Il suicidio

 

Non è possibile sfuggire al dolore neppure rifiutando la vita. Il suicidio non è la soluzione dei problemi dell’uomo: prima di tutto il suicida uccide solo se stesso e non la volontà di vivere, che è universale; inoltre il suicida, col suo gesto, dimostra di non voler morire, ma piuttosto di voler vivere, in quanto egli è scontento delle condizioni in cui vive, perciò desidera la vita e non la morte; uccidendosi, manifesta prepotentemente la sua volontà di vivere, ossia rafforza la Volontà universale.

 

Le vie di liberazione

 

L’unica risposta al dolore consiste nel liberarci dalla volontà di vivere, nel passare dalla volontà alla non-volontà (dalla voluntas alla noluntas). Il passaggio avviene attraverso tre tappe:

1) l’arte, che è una conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alla contemplazione delle Idee. Per mezzo dell’arte si dimenticano i bisogni, gli interessi e si supera l’egoismo. L’arte è catarsi, ossia liberazione dalle passioni. Fra le varie forme di arte, alcune sono inferiori, in quanto presuppongono la materia (scultura ed architettura); più elevata è la pittura, che raffigura la natura; ancor più elevata è la poesia, che rappresenta l’umanità e la tragedia, che ci libera dalle passioni. Ma l’arte più pura, in grado di distaccarci dalla quotidianità,è la musica, la metafisica dei suoni, l’arte meno legata alla materia, che porta l’uomo al di là del mondo fenomenico.

La visione dell’arte di Schopenhauer è romantica: il genio si pone oltre la volontà, il tempo e il dolore. L’arte, tuttavia, offre soltanto una consolazione temporanea, una specie di fuga romantica dal mondo.

 

2) la morale: mentre l’arte ci distacca dalla realtà e dal dolore, la morale richiede un impegno ad affrontare la realtà, a superare l’egoismo, a dimenticare il nostro dolore aiutando gli altri a superare i propri dolori.

L’etica di Schopenhauer non nasce dalla ragione, ma dal sentimento: compatire gli altri significa patire con gli altri. Mediante la pietà realizziamo l’unità metafisica di tutti gli esseri. La morale si realizza attraverso due vie:

- la giustizia, una morale negativa, che consiste nel non fare il male e nell’impedire agli altri di agire male. E’ il primo superamento dell’egoismo.

- la carità è la morale positiva, che consiste nel fare il bene e aiutare il prossimo. La carità è amore disinteressato.

 

3) l’ascesi: nasce dall’orrore dell’uomo per la propria condizione e per la volontà di vivere. L’individuo cessa non solo di vivere, ma anche di volere: non vuole più nulla, non ha alcun desiderio.

L’ascesi è un tirocinio fisico e spirituale che procura il distacco dal mondo e fa raggiungere la perfezione interiore. Essa si raggiunge con la castità (perché, la rinuncia ai piaceri, l’umiltà, il digiuno, la povertà. Solo così si sconfigge definitivamente la Volontà di vivere; l’uomo diventa libero, ossia sceglie di non scegliere: l’uomo sconfigge la volontà, raggiunge il Nulla, che non è il niente, ma piuttosto è il Tutto, è un oceano di pace e di infinita serenità.

 

SCHOPENHAUER E LEOPARDI

 

Per Leopardi il destino dell’uomo è il Nulla, l’infelicità, ma egli non deve accettarlo passivamente. Egli può reagire alla disperazione ricorrendo all’illusione, una rappresentazione oggettiva che modifica e corregge la realtà ed ha un ruolo positivo: attraverso l’illusione il poeta riesce a pensare e a vivere ciò che la Natura ha negato all’uomo e a cogliere l’Infinito. L’illusione è la vittoria dell’uomo sulla Natura, è lo strumento di salvezza dal dolore, è la trasformazione del Nulla nell’Essere. La via di liberazione dalla terribile situazione non può essere l’ascesi: l’uomo deve costruire per sé l’unico infinito possibile, liberandosi dalla paura del destino.

 

Il pessimismo di Leopardi non è negativo e non sfocia in un desiderio di nullificazione. La sua poesia è anzi animata da un profondissimo sentimento della vita e dell’umanità.

Pertanto non è giustificato un parallelismo tra Schopenhauer e Leopardi, nonostante gli indubbi punti di contatto: la poesia, come l’arte, non è una fuga, ma uno strumento di ricerca.

 

Vedi anche L'arte di essere felici