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LA SCUOLA DI FRANCOFORTE

La Scuola di Francoforte indica un gruppo di studiosi di discipline diverse: sociologi, politologi, economisti, filosofi e psicologi. Tutti questi studiosi, che erano di religione ebraica, condivisero studi e ricerche sulla società del loro tempo, ossia la società dei primi decenni del '900, la società industriale avanzata, rappresentata da un rapido sviluppo tecnologico.

 

La scuola fu fondata a Francoforte da Max Horkheimer, in collaborazione con altri studiosi, tra cui Theodor Adorno; successivamente il gruppo si avvalse della collaborazione di altri studiosi, tra cui Marcuse e Fromm. Essi elaborarono la teoria critica della società, un'analisi volta a smascherare i problemi e le contraddizioni nascoste della società e a fornire delle indicazioni per affrontare le difficoltà. 

 

Con l'avanzare del Nazismo, gli studiosi furono costretti a fuggire dalla Germania; qualcuno si rifugiò in altri paesi d'Europa; con lo scoppio della seconda guerra mondiale emigrarono negli Stati Uniti, dove continuarono a svolgere le loro ricerche.

Si erano lasciati alle spalle una società totalitaria; negli Stati Uniti credevano di trovare una società democratica e libera. Scoprirono, invece, che in questa società, apparentemente libera, si verificavano fenomeni sociali di estrema gravità: razzismo, pregiudizi, discriminazioni, conformismo. Compirono studi collettivi sull'autorità e sulla famiglia.

Alla fine della guerra Fromm e Marcuse  rimasero negli Stati Uniti; Horkheimer, Adorno e altri rientrarono in Europa e continuarono le loro ricerche sia individualmente che in gruppi.

 

La filosofia della scuola risente fortemente l'influenza del pensiero di Hegel, di Marx e di Freud.  Riprendono da Hegel la concezione dialettica: c'è ancora bisogno della ragione per leggere le contraddizioni della realtà, ma deve trattarsi di una ragione critica e non strumentale. Riprendono in parte il pensiero di Marx, ma sostengono che ormai capitalisti e proletari sono tutti fagocitati dal sistema consumistico; si richiamano a Freud per ricercare le motivazioni profonde dei comportamenti delle masse, che si piegavano a un piatto conformismo di cui riuscivano soltanto ad apprezzare vantaggi, senza rendersi conto di aver perso la libertà.

 

La dialettica dell'Illuminismo  

Horkheimer, nell'opera Dialettica dell'Illuminismo, scritta congiuntamente ad Adorno, e in Eclissi della ragione. Critica della ragione strumentale, denuncia lo smarrimento della ragione oggettiva a cui si era ispirata la filosofia delle origini, la quale si era posta il problema di spiegare tutta la realtà in modo unitario e coerente e di fornire una spiegazione razionale di tutto il reale. Il senso che si dava alla realtà era un senso razionale, ossia la realtà veniva letta secondo un'ottica razionale. I filosofi hanno sempre cercato di spiegare tutta la realtà in maniera che essa apparisse a noi dotata di coerenza, razionalità e ordine. La ragione costituiva un formidabile principio ordinatore di tutta la realtà. 

 

Nella loro epoca, invece, prevaleva una ragione strumentale: mentre in precedenza la ragione analizzava il mondo e studiava la realtà per darle un senso, ponendosi degli interrogativi sulla realtà per sforzarsi di farla apparire ordinata, razionale e coerente, nel loro tempo la ragione era ormai diventata uno strumento al servizio della logica del profitto; l'uomo cerca di procurarsi gli strumenti che gli permettano di dominare la natura. ma questo dominio sulla natura non è più un tentativo di ricercare le forze della natura per aiutare tutti gli uomini, bensì un tentativo di dominare gli altri uomini. Questa ragione strumentale porta a non coltivare più il sapere per se stesso: non c'è più desiderio di conoscenza fine a se stesso come era in precedenza, ma il sapere diventa tecnica: secondo l'uomo contemporaneo è necessario soltanto fornirsi di quegli strumenti che permettano di dominare gli altri.

 

La logica del dominio e del profitto di cui parla Horkheimer riprende la logica del profitto di cui aveva parlato Marx, secondo il quale è il capitalista che sfrutta il lavoro dell'operaio per arricchirsi, ma Horkheimer parla di una logica del profitto che non è più legata ai capitalisti, ma a gran parte della società  e della popolazione. La chiave di lettura di Horkheimer, che è anche simile a quella degli altri filosofi della scuola, non è più riduttiva come quella di Marx, il quale aveva sostenuto che la società può essere vista soltanto come una struttura economica e che tutto il resto è costituito da sovrastrutture. Per Horkheimer invece non è soltanto il potere  economico che detta le leggi della società, ma c'è anche il potere politico, quello ecclesiastico; molte forze dominano le masse; pertanto la chiave di lettura proposta da Marx non risulta più adeguata ad analizzare lo sviluppo industriale avanzato.

 

Se questa ragione strumentale tende semplicemente a dominare la natura, finisce per dominare anche gli uomini. L'uomo non si rende conto di essere dominato perché queste forme di dominio non sono più così palesi come avveniva per l'operaio. Questi non aveva ancora una vera coscienza di classe, però era consapevole del fatto che il suo lavoro veniva sfruttato; nell'epoca della civiltà tecnologica avanzata la ragione strumentale sta mirando non più a capire e conoscere la realtà tutta, ma semplicemente a soggiogare l'uomo, a renderlo controllabile e dominato senza che egli se ne renda conto.

 

Questa analisi di Horkheimer venne poi approfondita da Adorno e Marcuse. Per Horkheimer l'Illuminismo non è soltanto quel periodo e quell'indirizzo filosofico del Settecento che ricercava un lume per far sì che l'umanità superasse le difficoltà del passato, i pregiudizi, gli errori commessi nel corso della storia. L'Illuminismo è un atteggiamento che ha l'uomo nei confronti della natura e tende a dominarla per poi dominare tutta la realtà; il dominio della natura  diventa uno strumento per dominare anche gli altri.

 

La logica del dominio passa attraverso l'analisi della natura esterna, ma comprende anche la natura dell'uomo, che va anch'essa dominata e soggiogata; in questo senso Horkheimer ha risentito l'influenza del pensiero freudiano perché, secondo lui, chi vuole dominare gli altri deve anche sapere come agire, in modo che le masse non abbiano consapevolezza di essere dominate. Tutto questo ci porta ad allontanare sempre più una felicità che l'uomo potrebbe raggiungere, ma che non otterrà mai in questa società tecnologica fortemente alienante.

 

La dialettica negativa

Theodor Adorno, autore dell'opera Dialettica negativa, fu studioso di musica e di filosofia. Era ebreo come tutti gli studiosi della Scuola di Francoforte. Collaborò con gli altri alle loro ricerche; con l'avanzare del nazismo fuggì negli Stati Uniti e rientrò solo dopo la Guerra.

 

Adorno ha scritto anche Minima moralia e assieme agli altri ha scritto La personalità autoritaria, di cui comunque è l'autore principale. In questo libro indaga sul pregiudizio e sostiene che la personalità autoritaria non è quella che predomina sugli altri, come potremmo pensare, ma è la persona che ammette che debbano esistere delle persone che comandano mentre le altre debbono obbedire. In pratica, la divisione della società non è tra il capitalista e il proletario, ma tra coloro che hanno il potere; Adorno non si riferisce a coloro che detengono il potere economico o politico nella società, ma ai genitori in famiglia, ai docenti nella scuola, perché famiglia e scuola rientrano in questa logica del dominio perché trasmettono valori che portano il bambino inizialmente, lo studente successivamente, l'adulto a farsi soggiogare da alcune forze in modo che accetti di conformarsi a quei valori che qualcuno stabilisce per lui. Quindi compì queste ricerche assieme agli altri ma, tra i suoi scritti, ricordiamo una grandissima opera filosofica intitolata Dialettica negativa.

 

Adorno si richiama alla dialettica di Hegel in cui, nel primo momento, la ragione non è in grado di cogliere le differenze nella realtà, ma coglie la realtà come se fosse identica a se stessa. Il primo momento (tesi), che Hegel aveva chiamato astratto e intellettivo, è il momento in cui non si riesce a cogliere la realtà altro che in un modo statico, cristallizzato, come in fondo la realtà non è.

 

Il secondo momento, che è quello dialettico negativo (antitesi), è quello in cui la ragione, basandosi sul principio di contraddizione, coglie la differenza, coglie l'altro, coglie l'opposizione. Secondo Adorno è questa la filosofia, la filosofia della dialettica, che però non deve confluire poi in un terzo momento che è la sintesi hegeliana.

 

Questa è la conciliazione degli opposti, ma la realtà non è mai conciliazione e questo Adorno lo sostenmeva prima della Seconda Guerra Mondiale, quando vi erano nei paesi europei chiari sintomi di dominio dell'uomo sull'uomo, tanti totalitarismi.

 

Dopo la Seconda Guerra Mondiale con tutti i suoi orrori, Adorno ha sostenuto che nessuno potrebbe mai dire che la realtà è conciliazione. Dopo Auschwitz tutta la cultura è spazzatura, egli sostiene; non si può, dopo Auschwitz, sostenere che la realtà e la razionalità sono la stessa cosa. Se Hegel ha potuto dirlo un secolo prima era perché le condizioni storiche gli permettevano comunque di far credere che la realtà fosse tutta razionale, ma la realtà non è affatto razionale e non si può inventare una lettura della realtà che sia dotata di senso, che presenti organicità, coerenza, perché la realtà è incoerente, contraddittoria, irrazionale.

 

Il filosofo non deve nascondere la realtà agli uomini che non la capiscono, che non la sanno leggere poiché ne sono impediti da molti fenomeni, che sono in parte inconsci, ma è anche vero che ci sono delle forze nella società che agiscono su di noi per impedirci di vedere. Quindi il compito del filosofo è proprio quello di smascherare questa realtà e fare in modo che l'uomo si renda conto di essere manipolato continuamente da numerosissime forze che non sono più quelle del capitalismo di Marx, poiché è vero che l'industria ci domina, ma ci dominano altre forze che vanno tutte smascherate, in modo che l'uomo possa rendersi conto e liberarsi perché la felicità può essere dell'uomo. Ma in questa società a sviluppo tecnologico avanzato non c'è nessuna felicità ed è questa la causa dell'alienazione dell'uomo e non quella indicata da Marx.

 

Tutti gli studiosi della scuola di Francoforte si richiamano a Marx; lo farà anche Marcuse, ma con chiavi di lettura molto diverse. Dunque il compito della filosofia dopo Auschwitz è quello di ricordare all'uomo che la realtà continua a essere assolutamente irrazionale, in quanto siamo noi che rendiamo irrazionale la realtà. Dunque, anche se molto cupa, la visione dell'uomo che ha Adorno dopo Auschwitz, dopo gli eventi terribili della Seconda Guerra Mondiale, in cui sei milioni di ebrei morirono nei campi di sterminio, è un quadro non solo pessimistico, ma addirittura privo di speranza. In tale quadro desolante, poiché questa realtà è stata resa irrazionale proprio dall'uomo, proprio la filosofia, secondo Adorno, riveste un compito importante: essa deve fornirci una chiave di lettura perché l'essere umano è un essere pensante che ha smesso di pensare, o almeno ha smesso di pensare in modo critico, continua a pensare in modo molto conformato.

Adorno compì molte ricerche sui mass media e analizzò le nuove forme attraverso le quali viene effettuata una manipolazione delle coscienze. Egli sostiene che è soprattutto la società contemporanea ad essere alienante, come aveva già sostenuto Horkheimer; ma egli individua acutamente le fonti di questa alienazione.

 

I mass media

 

I mass media sono dei poderosi strumenti al servizio di chi è al potere: servono per soggiogare, dominare, obnubilare le coscienze, per impedirci di vedere. Grazie alla pubblicità, i media fanno in modo da farci vivere in un mondo che ci sembra bello, in cui ci sentiamo felici, in cui possiamo raggiungere il benessere, perché ci fanno desiderare qualcosa che viene mostrato come un oggetto indispensabile per acquistare prestigio sociale.

 

All'epoca l'automobile era uno status symbol; dunque chi la acquistava aumentava il suo prestigio sociale. L'automobile non era certo un bene indispensabile per l'uomo, il quale non ne avvertiva il bisogno; ma l'industria automobilistica, grazie alla pubblicità, doveva fare in modo da suscitare nell'uomo un bisogno che prima non c'era. Ecco quindi un nuovo modo di leggere la realtà industriale e capitalistica, che non era più quello di Marx: anche Marx aveva sostenuto che la logica del profitto porta il capitalista a produrre sempre più, in maniera da aumentare il suo capitale, e per produrre deve vendere.

 

Secondo Marx la logica del profitto prevede un continuo aumento della produzione e quindi il capitalista deve investire in macchinari; secondo Adorno, invece, in questa sovrapproduzione delle merci è necessario che qualcuno compri.

Quando acquistiamo un prodotto per la prima volta, esso ci è presentato come un bene necessario di cui non possiamo fare a meno ma di cui, in realtà, non avevamo assolutamente bisogno. Ma questo non è sufficiente nella società industriale avanzata: bisogna che quel bene dopo un poco invecchi, diventi inadeguato e, per soddisfare un bisogno non impellente, bisogna acquistare un bene di qualità superiore, che ci aiuti ad aumentare quel senso di felicità che la società del benessere, la società del consumismo tenta di suscitare in noi.

 

Il consumismo consiste nello smerciare in un ciclo continuo dei prodotti di qualità tale da non esaurire soddisfare completamente i bisogni; nel far sì che un prodotto venga desiderato sino al punto che lo acquistiamo e, poco dopo, diventi così vecchio, superato, da dover essere sostituito con un prodotto similare ma superiore, in un crescendo che ci porta ad acquistare tanti prodotti di cui non abbiamo bisogno. In questa società che obnubila le coscienze l'assurdo è che siamo convinti di essere felici.

 

In questa società che favorisce il conformismo, in cui le persone devono non soltanto accettare dei valori imposti dagli altri, ma anche adeguarsi all'ottica del consumo, il rapporto tra il capitalista e il lavoratore nella logica del profitto viene sostituito da una logica del profitto che vede come contraltare del capitalista il consumatore. Il consumatore è colui che viene sfruttato senza esserne consapevole, anzi la propaganda e la pubblicità ben organizzate lo spingono a credere che egli sia completamente libero di scegliere; in realtà non lo è, perché tutta la poderosa macchina dei media e della pubblicità è indirizzata esclusivamente a strappare il consenso.

 

L'industria in generale diventa l'industria del consenso, che ci spinge ad accettare dei comportamenti che non solo sono naturali, ma che vanno assolutamente contro la libertà dell'uomo; quindi ci rendono sempre meno liberi man mano che ci fanno sentire più liberi perché, quanto più cerchiamo di possedere quei beni che si ritiene ci facciano essere felici, tanto più diventiamo dipendenti da quegli oggetti e tanto meno saremo felici.

A questo punto la concezione marxiana della lotta di classe va salvata in gran parte, perché anche nell'età contemporanea perdura un conflitto fra le classi. La differenza sta nel fatto che il lavoratore nella società industriale avanzata si è assuefatto al sistema; gode di garanzie lavorative sconosciute all'operaio del secolo precedente; viene regolarmente pagato affinché diventi al più presto un consumatore. 

 

L'industria culturale

Adorno ha contribuito ad evidenziare la funzione di omologazione svolta dai mass media, che tendono a farci pensare tutti allo stesso modo.

Il mondo del cinematografo produceva dei film i cui personaggi erano studiati in modo da far credere che esistesse un mondo piacevole e bello a cui tutti potevano aspirare imitando i modelli offerti dai divi. Frequentemente il cinema, la televisione e la pubblicità ci presentano una famiglia modello ideale e ci fa credere che esistano delle situazioni che possiamo imitare, realizzare e raggiungere.

La cultura non è più un sapere fine a se stesso. Gli antichi Greci studiavano esclusivamente per conoscere in modo disinteressato, senza fini, per il gusto di sapere.

 

Nella società industriale avanzata abbiamo un uso industriale della cultura e un sapere che è ridotto alla tecnica; la cultura diventa un bene di consumo. L'editoria, i giornali, i programmi televisivi, il cinema, propongono una divulgazione di un certo tipo di sapere per aumentare sì le conoscenze, ma anche per proporre modelli culturali a cui bisogna conformarsi. Il sapere diventa oggi uno dei tanti modi per indurre tutti a pensare allo stesso modo (omologazione). 

 

La filosofia, secondo Adorno, non ha finora contribuito a favorire questa visione critica della realtà: in un certo modo anche la filosofia si era assuefatta al sistema; pertanto bisogna restituire urgentemente alla filosofia la sua funzione e far sì che tutti fossero messi in condizione di leggere la realtà.

 

L'arte

Adorno fu un musicista e uno studioso d'arte. Egli sostiene che anche l'arte, nei secoli, ha costituito uno strumento al servizio della Chiesa, del governante, del principe, di coloro che, per aumentare il loro potere, davano potere agli artisti. L'arte si è nutrita di interessi esterni ad essa. Quando parla di bello d'arte, Adorno intende richiamarsi al bello kantiano. Kant aveva sostenuto (nella Critica del giudizio) che il bello non è uno strumento, non ha alcun fine al di fuori di sé, quindi il bello è bello e basta, non può essere bello perché ha una finalità o perché deve essere sfruttato da qualcuno: l'opera d'arte è bella solo perché è disinteressata. Adorno auspica che l'arte diventi soprattutto uno strumento di denuncia: essa deve far risaltare impietosamente la disarmonia esistente nel mondo: se il mondo ci sembra armonico, coerente, logico, ebbene anche l'arte deve acquistare la funzione di critica di una realtà che non è affatto razionale; se il nostro mondo è frammentario, l'arte contemporanea, che è frammentaria, denuncia questa condizione dell'uomo. Dunque Adorno auspica che sia proprio l'arte a diventare un mezzo per la liberazione dell'uomo. Secondo gli antichi l'arte è uno strumento con cui esprimiamo ciò che noi siamo e non ciò che gli altri ci chiedono di esprimere ma, nel corso della storia, artisti e musicisti hanno espresso quello che i potenti volevano da loro: pensiamo al mecenatismo dei Romani e all'epoca rinascimentale, in cui gli artisti lavoravano su commissione.

L'arte deve finalmente riuscire ad essere espressione libera di un uomo che può essere finalmente felice.

Nonostante la visione tragica dell'esistenza rappresentata da Auschwitz, Adorno crede fortemente che l'uomo possa essere felice. Prima di tutto dobbiamo saper leggere la realtà intorno a noi per non conformarci senza saperlo e per non consumare qualcosa di cui  non abbiamo bisogno.

 

MARCUSE

 

Filosofo ebreo (come tutti gli appartenenti alla scuola di Francoforte), costretto ad emigrare negli Stati Uniti durante il periodo nazista, contribuì notevolmente alla ricerca che fu poi pubblicata con il titolo Studi sull'autorità e sulla famiglia. Marcuse sostiene che la famiglia è la prima forma di oppressione sociale. Le opere più importanti di Marcuse sono Eros e civiltà e L'uomo a una dimensione.

 

Ragione e rivoluzione

La sua prima opera filosofica di rilievo fu Ragione e rivoluzione, che fa riferimento alla dialettica hegeliana. Secondo Marcuse, se Hegel ha sostenuto che la ragione è universale, poiché parla di una ragione infinita che non è statica, ma dinamica, dialettica e in divenire, questo vuol dire che non dobbiamo accontentarci dell'esistente, anche se la filosofia hegeliana è una giustificazione dell'esistente. Hegel, senza rendersene conto, ci ha proposto una visione della realtà sempre dinamica; è come se Hegel ci avesse detto che dobbiamo proseguire oltre l'esistente, perché il modo per modificare l'esistente è la rivoluzione. Parlando di ragione e rivoluzione, Marcuse intende dire che la realtà deve diventare razionale con la rivoluzione.

 

Eros e civiltà 

In Eros e civiltà, Marcuse, richiamandosi all'opera freudiana Il disagio della civiltà, ricorda che, secondo il padre della psicoanalisi, la nascita della civiltà ha richiesto una repressione degli istinti, che è necessaria per far sì che gli uomini nella società trovino la salvaguardia dei loro diritti.  Anche Marcuse sostiene che in ogni civiltà c'è una repressione  degli istinti, ma, se l'uomo contemporaneo è alienato e represso, questo non dipende semplicemente dalla nascita della civiltà: c'è un surplus di repressione che è legato alla società tecnologica. La critica della società tecnologica, del capitalismo avanzato, della società iper-industrializzata spiegano il surplus di repressione legata alla società tecnologica: all'interno di questa civiltà a sviluppo industriale avanzato, l'uomo diventa un ingranaggio del meccanismo della produzione. Nella nostra società l'uomo è tale soltanto se lavora e quindi l'industria produce se c'è qualcuno che viene sfruttato e utilizzato per la produzione; l'uomo è soltanto una piccola parte della produzione di questa macchina industriale. 

 

Quando parla di alienazione, Marcuse non si riferisce più soltanto all'alienazione nel lavoro. Rispetto a Marx Marcuse ha una concezione del tutto nuova: secondo lui l'essenza dell'uomo non è il lavoro e non è detto che l'uomo debba per forza lavorare. L'uomo deve gioire e godere dell'esistenza, perchè in noi c'è il piacere, l'eros, che non si può imparare dal lavoro. L'eccesso di lavoro porta soltanto all'alienazione e alla repressione dell'eros. L'essenza dell'uomo è il gioco, la creatività, il piacere e l'eros non è un piacere legato al lavoro.

 

Se nell'Ottocento Marx sosteneva che l'essenza dell'uomo risiede nel lavoro, nel Novecento c'è stata un'espansione nel lavoro, una modificazione dell'attività lavorativa che, passando attraverso l'industrializzazione e l'automazione, ha portato anche a considerare il lavoro come ciò che permette all'uomo di fare altre scelte: egli lavora per andare in vacanza, per mandare i figli a scuola. Oggi il lavoro non è più legato alla soddisfazione dei bisogni primari, ma ci serve per soddisfare dei bisogni che non sono più naturali. All'uomo servirebbe veramente poco nella vita. Il lavoro alienante e alienato serve per soddisfare tutta una serie di bisogni aggiuntivi che non sono fondamentali per l'uomo.

 

Il lavoro viene mitologicamente rappresentato da Prometeo, colui che rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini, per renderli più produttivi e ha messo gli uomini in condizione di produrre di più grazie al fuoco. Mentre Narciso e Orfeo rappresentano la dimensione estetica e la dimensione del piacere nell'uomo, Prometeo rappresenta la dimensione lavorativa dell'uomo. Marcuse propone il ritorno ad Orfeo e Narciso contro Prometeo.

L'industrializzazione ha portato all'automazione di tutti i sistemi produttivi, per cui ormai non sappiamo più mungere una mucca senza apparecchi, ma questo non significa che dobbiamo rassegnarci all'impero delle macchine. Marcuse è un ottimista perché sostiene che, grazie all'automazione, alla fine le macchine faranno tutto il lavoro che dovrebbe fare l'uomo, il quale dovrà solo preoccuparsi di far funzionare le macchine. L'automazione portata alle sue estreme conseguenze non sfocia nell'alienazione, ma paradossalmente porterà alla liberazione dell'uomo: se le macchine fanno tutto e noi non dobbiamo fare nulla, alla fine ci rimane il famoso tempo libero dei Greci, dedicato all'otium, ossia al piacere della vita libidica ed erotica. Con l'automazione saremo tutti liberi di dedicarci all'eros. Ci sarà una società disalienata, che ridarà all'uomo la capacità di esprimersi nel piacere, grazie all'eros.

 

L'uomo a una dimensione

Nell'altra importante opera,  L'uomo a una dimensione, Marcuse tutte le possibili dimensioni dell'uomo a due: l'una verticale, nel senso che l'uomo può crescere, migliorare e maturare; questa dimensione passa attraverso la capacità critica in una società come la nostra, che non ci stimola affatto a pensare. L'altra dimensione è quella orizzontale, quella della società del conformismo e dell'appiattimento, che ci induce a rispettare determinati modelli di comportamenti e determinati valori. L'uomo a una dimensione è l'uomo della società tecnologica, vera causa dell'alienazione dell'uomo. L'uomo è veramente alienato perché la società capitalistica ha portato alla sovrapproduzione di merci che dovranno necessariamente essere vendute. L'industrializzazione avanzata porta al consumismo e tutti siamo indotti a lavorare di più per permetterci la vacanza, l'elemento che permetterà alle industrie di guadagnare di più. L'uomo a una dimensione, l'uomo della logica del profitto e del consumismo non ha nessuna capacità critica, nessuna capacità di pensare. Eppure in questa società ci sentiamo liberi. Ma liberi da che cosa? Viviamo in una democrazia? Secondo Marcuse in quelle che chiamiamo democrazie sono sempre gli stessi a governare, governano pochi e non tutti. Ci sentiamo liberi, ma non lo siamo; la nostra è una falsa democrazia; anche il benessere non è benessere e la felicità, che dovrebbe essere alla portata di tutti, non c'è. Il potere delle classi dominanti non è soltanto quello economico e, conseguentemente, quello politico: essi hanno il monopolio della cultura.

 

Marcuse parlò di liberazione sessuale e la generazione del '68 lo esaltò come un vero modello di riferimento per la liberazione sessuale. Ma questa liberazione sessuale di oggi, in cui gli anticoncezionali sono alla portata anche dei ragazzini, che passa per la pornografia, per lo sfruttamento della donna-oggetto, non è vera libertà sessuale. Se gli uomini potessero ribellarsi a questa società alienante, farebbero una rivoluzione per tornare a uno stato simile a quello di natura. Per evitare che l'uomo faccia rivoluzioni, bisogna che egli accetti e giustifichi questa società. La filosofia deve operare il grande rifiuto: non deve nè accettare l'esistente né giustificarlo. Ma chi sarà colui che opererà il gran rifiuto? Ormai gli operai sono ben pagati, hanno il salario, gli straordinari e le ferie, tutto questo perché devono poter consumare. Nella logica del profitto l'operaio non è più un anello della catena di montaggio, non è più una vittima, ma un consumatore come tutti quanti. E' asservito al sistema e ci si trova bene. Quindi la rivoluzione non deve rivolgersi al proletario, ma alle minoranze.

 

Nel '68 Marcuse credette di vedere negli studenti la poderosa arma in grado di rivoluzionare e trasformare la società. Solo le minoranze possono essere gli attori di una rivoluzione, ma da sole non sono in grado di mobilitarsi. Le minoranze a cui egli punta sono gli oppressi, le minoranze etniche, i poveri, i disoccupati e le popolazioni del terzo mondo.