Camillo Sbarbaro

Era color del mare...

 

Era color del mare e dell’estate

la strada fra le case e i muri d’orto

dove la prima volta ti cercai.

All’incredulo sguardo ti staccasti

un po’ incerta dall’altro marciapiede.

Nemmeno mi guardasti. Mi stringesti,

con la forza di chi s’attacca, il polso.

A fianco procedemmo un tratto zitti.

 

Una macchina adesso mi portava,

procella appena dominata, verso

il luogo di quel primo appuntamento.

Già la svolta il mio cuore riconosce

e, raffica, la macchina imbocca,

ed ecco tu ti stacchi

un po’ incerta dall’altro marciapiede.

(Non era che un crudele immaginare:

paralitico tenta con quest’ansia

la parte, se già il male guadagni).

 

Il tempo di pensarti; ma nell’attimo

che dolcissima spina mi trafisse!

Acuta come questa non mi desti

altra gioia, non mi potevi dare.

T’amavo. Amavo. Anche per me nel mondo

c’era qualcuno.

O strada tra le case, benedetta,

dove la prima volta nella vita

pietà d’altri che me mi strinse il cuore.

Magra dagli occhi lustri, dai pomelli

accesi,

la mia anima torbida che cerca

chi le somigli

trova te che sull'uscio aspetti gli uomini.

 

Tu sei la mia sorella di quest'ora.

 

Accompagnarti in qualche trattoria

di basso  porto

e guardarti mangiare avidamente!

E coricarmi senza desiderio

nel tuo letto!

Cadavere vicino ad un cadavere

bere dalla tua vista l'amarezza

come la spugna secca beve l'acqua!

 

Toccare le tue mani i tuoi capelli

che pure a te qualcuno avrà raccolto

in un piccolo ciuffo sulla testa!

E sentirmi guardato dai tuoi occhi ostili,

poveretta, e tormentarti domandandoti

il nome di tua madre...

 

Nessuna gioia vale questo amaro:

poterti far piangere, potere

piangere con te.

Mi desto dal leggero sonno

 

Mi desto dal leggero sonno solo

nel cuore della notte.

Tace intorno

la casa come vuota e laggiù brilla

silenzioso coi suoi lumi un porto.

Ma sì freddi e remoti son quei lumi

e sì grande è il silenzio nella casa

che mi levo sui gomiti in ascolto.

 

Improvviso terrore mi sospende

il fiato e allarga nella notte gli occhi:

separata dal resto della casa

separata dal resto della terra

è la mia vita ed io son solo al mondo.

 

Poi il ricordo delle vie consuete

e dei nomi e dei volti quotidiani

riemerge dal sonno,

e di me sorridendo mi riadagio.

 

Ma, svanita col sonno la paura,

un gelo in fondo all'anima mi resta.

Ch'io cammino fra gli uomini guardando

attentamente coi miei occhi ognuno,

curioso di lor ma come estraneo.

Ed alcuno non ho nelle cui mani

metter le mani con fiducia piena

e col quale di me dimenticarmi.

 

Tal che se l'acque e gli alberi non fossero

e tutto il mondo muto delle cose

che accompagna il mio viver sulla terra,

io penso che morrei di solitudine.

 

Or questo camminare fra gli estranei

questo vuoto d'intorno m'impaura

e la certezza che sarà per sempre.

 

Ma restan gli occhi crudelmente asciutti.

Sempre assorto

 

Sempre assorto in me stesso e nel mio mondo

come in sonno tra gli uomini mi muovo.

Di chi m'urta col braccio non m'accorgo,

e se ogni cosa guardo acutamente

quasi sempre non vedo ciò che guardo.

Stizza mi prende contro chi mi toglie

a me stesso. Ogni voce m'importuna.

Amo solo la voce delle cose.

M'irrita tutto ciò che è necessario

e consueto, tutto ciò che è vita,

com'irrita il fuscello la lumaca

e com'essa in me stesso mi ritiro.

 

Ché la vita che basta agli altri uomini

non basterebbe a me.

E veramente

se un altro mondo non avessi, mio,

nel quale dalla vita rifugiarmi,

se oltre me miserie e le tristezze

e le necessità e le consuetudini

a me stesso non rimanessi io stesso,

oh come non esistere vorrei!

Ma un'impressione strana m'accompagna

sempre in ogni mio passo e mi conforta:

mi pare di passar come per caso

da questo mondo...

 

Ora che non mi dici niente

 

Or che non mi dici niente, ora

che non mi fai godere né soffrire,

tu sei la consueta dei miei giorni.

Assomigli ad un lago tutto uguale

sotto un cielo di latta tutto uguale.

Assonnato mi muovo sulla riva.

Non voglio, non desidero, neppure

penso.

Mi tocco per sentir se sono.

E l'essere e il non esser, come l'acqua

e il cielo di quel lago si confondono.

Diventa il mio dolore quel d'un altro

e la vita non è né lieta né triste.

T'odio, compagna assidua dei miei giorni,

che alla vita non mi sottrai, facendomi

come il sonno una cosa inanimata,

ma me la lasci solo rasentare.

Poiché son rassegnato a viver, voglio

che ad ogni ora del dì mi pesi sopra,

mi tocchi nella mia carne vitale.

Voglio il Dolore che m'abbranchi forte

e collochi nel centro della Vita.

 

Padre, se anche tu non fossi il mio

 

Padre, se anche tu non fossi il mio

Padre se anche fossi a me un estraneo,

per te stesso egualmente t'amerei.

Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno

Che la prima viola sull'opposto

Muro scopristi dalla tua finestra

E ce ne desti la novella allegro.

Poi la scala di legno tolta in spalla

Di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.

Noi piccoli stavamo alla finestra.

E di quell'altra volta mi ricordo

Che la sorella mia piccola ancora

Per la casa inseguivi minacciando

(la caparbia aveva fatto non so che).

Ma raggiuntala che strillava forte

Dalla paura ti mancava il cuore:

ché avevi visto te inseguir la tua

piccola figlia, e tutta spaventata

tu vacillante l'attiravi al petto,

e con carezze dentro le tue braccia

l'avviluppavi come per difenderla

da quel cattivo che eri il tu di prima.

Padre, se anche tu non fossi il mio

Padre, se anche fossi a me un estraneo,

fra tutti quanti gli uomini già tanto

pel tuo cuore fanciullo t'amerei.

 

Taci, anima stanca di godere

 

Taci, anima stanca di godere

e di soffrire (all'uno e all'altro vai rassegnata).

Nessuna voce tua odo se ascolto:

non di rimpianto per la miserabile

giovinezza, non d'ira o di speranza,

e neppure di tedio.

Giaci come il corpo, ammutolita, tutta piena

d'una rassegnazione disperata.

Non ci stupiremmo,

non è vero, mia anima, se il cuore

si fermasse, sospeso se ci fosse il fiato...

Invece camminiamo, camminiamo

io e te come sonnambuli.

E gli alberi son alberi, le case sono case, le donne

che passano son donne, e tutto è quello

che è, soltanto quel che è.

La vicenda di gioia e di dolore non si tocca.

Perduto ha la voce la sirena del mondo,

e il mondo è un grande deserto.

Nel deserto io guardo con asciutti occhi me stesso.

(Da Pianissimo)

 

Taci, anima mia

 

Taci anima mia. Son questi i tristi giorni

in cui senza volontà si vive,

i giorni dell'attesa disperata.

Come l'albero ignudo a mezzo inverno

che s'attriste nella deserta corte

io non credo di mettere più foglie

e dubito d'averle messe mai.

Andando per la strada così solo

tra la gente che m'urta e non mi vede

mi pare d'esser da me stesso assente.

E m'accalco ad udire dov'è ressa

sosto dalle vetrine abbarbagliato

e mi volto al frusciare d'ogni gonna.

Per la voce d'un cantastorie cieco

per l'improvviso lampo d'una nuca

mi sgocciolano dagli occhi sciocche lacrime

mi s'accendon negli occhi cupidigie.

Chè tutta la mia vita è nei miei occhi:

ogni cosa che passa la commuove

come debola vento un'acqua morta.

Io son come uno specchio rassegnato

che riflette ogni cosa per la via.

In me stesso non guardo perché nulla

vi troverei...

E, venuta la sera, nel mio letto

mi stendo lungo come in una bara.

 

Ora che sei venuta

 

Ora che sei venuta,

che con passo di danza sei entrata

nella mia vita

quasi folata in una stanza chiusa –

a festeggiarti, bene tanto atteso,

le parole mi mancano e la voce

e tacerti vicino già mi basta.

Il pigolìo così che assorda il bosco

al nascere dell’alba, ammutolisce

quando sull’orizzonte balza il sole.

Ma te la mia inquietudine cercava

quando ragazzo

nella notte d’estate mi facevo

alla finestra come soffocato:

che non sapevo, m’affannava il cuore.

E tutte tue sono le parole

che come l’acqua all’orlo che trabocca,

alla bocca venivano da sole,

l’ore deserte, quando s’avenzavan

puerilmente le mie labbra d’uomo

da sé, per desiderio di baciare…

Talor, mentre cammino per le strade

Talor, mentre cammino per le strade

della città tumultuosa solo,

mi dimentico il mio destino d'essere

uomo tra gli altri, e, come smemorato,

anzi tratto fuor di me stesso, guardo

la gente con aperti estranei occhi.

M'occupa allora un puerile, un vago

senso di sofferenza ed ansietà

come per mano che mi opprima il cuore.

Fronti calve di vecchi, inconsapevoli

occhi di bimbi, facce consuete

di nati a faticare e a riprodursi,

facce volpine stupide beate,

facce ambigue di preti, pitturate

facce di meretrici, entro il cervello

mi s'imprimono dolorosamente.

E conosco l'inganno pel qual vivono,

il dolore che mise quella piega

sul loro labbro, le speranze sempre

deluse,

e l'inutilità della loro vita

amara e il lor destino ultimo, il buio.

Ché ciascuno di loro porta seco

la condanna d'esistere: ma vanno

dimentichi di ciò e di tutto, ognuno

occupato dall'attimo che passa,

distratto dal suo vizio prediletto.

Provo un disagio simile a chi veda

inseguire farfalle lungo l'orlo

d'un precipizio, od una compagnia

di strani condannati sorridenti.

E se poco ciò dura, io veramente

in quell'attimo dentro m'impauro

a vedere che gli uomini son tanti.

da "Pianissimo"

Non Vita

 

Non Vita, perché tu sei nella notte

la rapida fiammata, e non per questi

aspetti della terra e il cielo in cui

la mia tristezza orribile si placa:

ma, Vita, per le tue rose le quali

o non sono sbocciate ancora o già

disfannosi, pel tuo Desiderio

che lascia come al bimbo della favola

nella man ratta solo delle mosche,

per l'odio che portiamo ognuno al noi

del giorno prima, per l'indifferenza

di tutto ai nostri sogni più divini,

per non potere vivere che l'attimo

al modo della pecora che bruca

pel mondo questo o quello cespo d'erba

e ad esso s'interessa unicamente,

pel rimorso che sta in fondo ad ogni

vita, d'averla inutilmente spesa,

come la feccia in fondo del bicchiere,

per la felicità grande di piangere,

per la tristezza eterna dell'Amore,

per non sapere e l'infinito buio... 

per tutto questo amaro t'amo, Vita.

Svegliandomi il mattino

 

Svegliandomi il mattino, a volte provo

sì acuta ripugnanza a ritornare

in vita, che di cuore farei patto

in quell'istante stesso di morire.

 

Il risveglio m'è allora un alto nascere;

ché la mente lavata dall'oblio

e ritornata vergine nel sonno

s'affaccia all'esistenza curiosa.

Ma tosto a lei l'esperienza emerge

come terra scemando la marea.

E così chiara allora le si scopre

l'irragionevolezza della vita,

che si rifiuta a vivere, vorrebbe

ributtarsi nel limbo dal quale esce.

 

Io sono in quel momento come chi

si risvegli sull'orlo d'un burrone,

e con le mani disperatamente

d'arretrare si forzi ma non possa.

 

Come il burrone m'empie di terrore

la disperata luce del mattino.