Cesare Pavese

Vino triste

 

La fatica è sedersi senza farsi notare.

Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate

e ritorna la voglia di pensarci da solo.

Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii,

ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo

esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro

(l'uomo solo non può non pensare al lavoro)

ridiventa l'antico destino che è bello soffrire

per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano

a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.

Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire,

pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque

può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi.

Può sbucare una donna e distendersi in strada,

bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo

come un tempo una donna gemeva con lui.

Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire

e la vita non è che un ronzio di silenzio.

A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite

e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe

che in quest'uomo trascorrono tiepide vene

dove un tempo la vita bruciava? Nessuno

crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze

su quel corpo e baciato quel corpo, che trema,

e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo

giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme.

 

Sogno

 

Ride ancora il tuo corpo all'acuta carezza

della mano o dell'aria, e ritrova nell'aria

qualche volta altri corpi? Ne ritornano tanti

da un tremore dei sangue, da un nulla. Anche il corpo

che si stese al tuo fianco, ti ricerca in quel nulla.

Era un gioco leggero pensare che un giorno

la carezza dell'aria sarebbe riemersa

improvviso ricordo nel nulla. Il tuo corpo

si sarebbe svegliato un mattino, amoroso

del suo stesso tepore, sotto l'alba deserta.

Un acuto ricordo ti avrebbe percorsa

e un acuto sorriso. Quell'alba non torna?

Si sarebbe premuta al tuo corpo nell'aria

quella fresca carezza, nell'intimo sangue,

e tu avresti saputo che il tiepido istante

rispondeva nell'alba a un tremore diverso,

un tremore dal nulla. L'avresti saputo

come un giorno lontano sapevi che un corpo

era steso al tuo fianco.

Dormivi leggera

sotto un'aria ridente di labili corpi,

amorosa di un nulla. E l'acuto sorriso

ti percorse sbarrandoti gli occhi stupiti.

Non è più ritornata, dal nulla, quell'alba?

 

RISVEGLIO

 

Lo ripete anche l'aria che quel giorno non torna.

La fìnestra deserta s'imbeve di freddo

e di cielo. Non serve riaprire la gola

all'antico respiro, come chi si ritrovi

sbigottito ma vivo. E' finita la notte

dei rimpianti e dei sogni. Ma quel giorno non torna.

Torna a vivere l'aria, con vigore inaudito,

l'aria immobile e fredda. La massa di piante

infuocata nell'oro dell'estate trascorsa

sbigottisce alla giovane forza del cielo.

Si dissolve al respiro dell'aria ogni forma

dell'estate e l'orrore notturno è svanito.

Nel ricordo notturno l'estate era un giorno

dolorante. Quel giorno è svanito, per noi.

Torna a vivere l'aria e la gola la beve

nella vaga ansietà di un sapore goduto

che non torna. E nemmeno non torna il rimpianto

ch'era nato stanotte. La breve finestra

beve il freddo sapore che ha dissolta l'estate.

Un vigore ci attende, sotto il cielo deserto.

 

Canzone

 

Le nuvole sono legate alla terra ed al vento.

Fin che ci saran nuvole sopra Torino

sarà bella la vita. Sollevo la testa

e un gran gioco si svolge lassù sotto il sole.

Masse bianche durissime e il vento vi circola

tutto azzurro - talvolta le disfa

e ne fa grandi veli impregnati di luce.

Sopra i tetti, a migliaia le nuvole bianche

copron tutto, la folla, le pietre e il frastuono.

Molte volte levandomi ho visto le nuvole

trasparire nell'acqua limpida di un catino.

Anche gli alberi uniscono il cielo alla terra.

Le città sterminate somiglian foreste

dove il cielo compare su su, tra le vie.

Come gli alberi vivi sul Po, nei torrenti

così vivono i mucchi di case nel sole.

Anche gli alberi soffrono e muoiono sotto le nubi

l'uomo sanguina e muore, - ma canta la gioia

tra la terra ed il cielo, la gran meraviglia

di città e di foreste. Avrò tempo domani

a rinchiudermi e stringere i denti. Ora tutta la

vita son le nubi e le piante e le vie, perdute nel cielo.

 

 

 

Terra rossa terra nera

 

Terra rossa terra nera,

tu vieni dal mare,

dal verde riarso,

dove sono parole

antiche e fatica sanguigna

e gerani tra i sassi -

non sai quanto porti

di mare parole e fatica,

tu ricca come un ricordo,

come la brulla campagna,

tu dura e dolcissima

parola, antica per sangue

raccolto negli occhi;

giovane, come un frutto

che è ricordo e stagione -

il tuo fiato riposa

sotto il cielo d'agosto,

le olive del tuo sguardo

addolciscono il mare,

e tu vivi rivivi

senza stupire, certa

come la terra, buia

come la terra, frantoio

di stagioni e di sogni

che alla luna si scopre

antichissimo, come

le mani di tua madre,

la conca del braciere. 

 

Anche tu sei collina

 

Anche tu sei collina

e sentiero di sassi

e gioco nei canneti,

e conosci la vigna

che di notte tace.

Tu non dici parole.

C'è una terra che tace

e non è terra tua.

C'è un silenzio che dura

sulle piante e sui colli.

Ci son acque e campagne.

Sei un chiuso silenzio

che non cede, sei labbra

e occhi bui. Sei la vigna.

E' una terra che attende

e non dice parola.

Sono passati giorni

sotto cieli ardenti.

Tu hai giocato alle nubi.

E' una terra cattiva -

la tua fronte lo sa.

Anche questo è la vigna.

Ritroverai le nubi

e il canneto, e le voci

come un'ombra di luna.

Ritroverai parole

oltre la vita breve

e notturna dei giochi,

oltre l'infanzia accesa.

Sarà dolce tacere.

Sei la terra e la vigna.

Un acceso silenzio

brucerà la campagna

come i falò la sera.

Il ragazzo che era in me

Va' a sapere perché fossi là quella sera nei prati.

Forse mi ero lasciato cadere stremato di sole,

e fingevo l'indiano ferito. Il ragazzo a queí tempi

scollinava da solo cercando bisonti

e tirava le frecce dipinte e vibrava la lancia.

Quella sera ero tutto tatuato a colori di guerra.

Ora, l'aria era fresca e la medica pure

vellutata profonda, spruzzata dei fiori

rossogrigi e le nuvole e il cielo

s'accendevano in mezzo agli steli. Il ragazzo riverso

che alla villa sentiva lodarlo, fissava quel cielo.

Ma il tramonto stordiva. Era meglio socchiudere gli occhi

e godere l'abbraccio dell'erba. Avvolgeva come acqua.

Ad un tratto mi giunse una voce arrochita dal sole:

il padrone del prato, un nemico di casa,

che fermato a vedere la pozza dov'ero sommerso

mi conobbe per quel della villa e mi disse irritato

di guastar roba mia, che potevo, e lavarmi la faccia.

Saltai mezzo dall'erba. E rimasi, poggiato le mani,

a fissare tremando quel volto offuscato.

Oh la bella occasione di dare una freccia nel petto di un uomo!

Se il ragazzo non ebbe il coraggio, m'illudo a pensare

che sia stato per l'aria di duro comando che aveva quell'uomo.

lo che anche oggi mi illudo di agire impassibile e saldo

me ne andai quella sera in silenzio e stringevo le frecce

borbottando, gridando parole d'eroe moribondo.

Forse fu avvilimento dinanzi allo sguardo pesante

di chi avrebbe potuto picchiarmi. O piuttosto vergogna

come quando si passa ridendo dinanzi a un facchino.

Ma ho il terrore che fosse paura. Fuggire, fuggii.

E, la notte, le lacrime e i morsi al guanciale

mi lasciarono in bocca sapore di sangue.

L'uomo è morto. La medica è stata diverta, erpicata

ma mi vedo chiarissimo il prato dinanzi

e, curioso, cammino e mi parlo, impassibile

come l'uomo alto e cotto dal sole parlò quella sera.

 

Hai il viso di pietra scolpita

 

Hai viso di pietra scolpita,

sangue di terra dura,

sei venuta dal mare.

Tutto accogli e scruti

e respingi da te

come il mare. Nel cuore

hai silenzio, hai parole

inghiottite. Sei buia.

Per te l'alba è silenzio.

E sei come le voci

della terra - l'urto

della secchia nel pozzo,

la canzone del fuoco,

il tonfo di una mela;

le parole rassegnate

e cupe sulle soglie,

il grido del bimbo - le cose

che non passano mai.

Tu non muti. Sei buia.

Sei la cantina chiusa,

dal battuto di terra,

dov'è entrato una volta

ch'era scalzo il bambino,

e ci ripensa sempre.

Sei la camera buia

cui si ripensa sempre,

come al cortile antico

dove s'apriva l'alba. 

 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-

questa morte che ci accompagna

dal mattino alla sera, insonne,

sorda, come un vecchio rimorso

o un vizio assurdo. I tuoi occhi

saranno una vana parola,

un grido taciuto, un silenzio.

Così li vedi ogni mattina

quando su te sola ti pieghi

nello specchio. O cara speranza,

quel giorno sapremo anche noi

che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

Sarà come smettere un vizio,

come vedere nello specchio

riemergere un viso morto,

come ascoltare un labbro chiuso.

Scenderemo nel gorgo muti.

 

I mattini passano chiari

 

I mattini passano chiari

e deserti. Così i tuoi occhi

s'aprivano un tempo. Il mattino

trascorreva lento, era un gorgo

d'immobile luce.

Taceva. Tu viva tacevi; le cose

vivevano sotto i tuoi occhi

(non pena non febbre non ombra)

come un mare al mattino, chiaro.

Dove sei tu, luce, è il mattino.

Tu eri la vita e le cose.

In te desti respiravamo

sotto il cielo che ancora è in noi.

Non pena non febbre allora,

non quest'ombra greve del giorno

affollato e diverso. O luce,

chiarezza lontana, respiro

affannoso, rivolgi gli occhi

immobili e chiari su noi.

E' buio il mattino che passa

senza la luce dei tuoi occhi.

 

Di salmastro e di terra

 

Di salmastro e di terra

è il tuo sguardo. Un giorno

hai stillato di mare.

Ci sono state piante

al tuo fianco, calde,

sanno ancora di te.

L'agave e l'oleandro.

Tutto chiudi negli occhi.

Di salmastro e di terra

hai le vene, il fiato.

Bava di vento caldo,

ombre di solleone ‒

tutto chiudi in te.

Sei la voce roca

della campagna, il grido

della quaglia nascosta,

il tepore del sasso.

La campagna è fatica,

la campagna è dolore

Con la notte il gesto

del contadino tace.

Sei la grande fatica

e la notte che sazia.

Come la roccia e l'erba,

come terra, sei chiusa;

ti sbatti come il mare.

La parola non c'è

che ti può possedere

o fermare. Cogli

come la terra gli urti,

e ne fai vita, fiato

che carezza, silenzio.

Sei riarsa come il mare,

come un frutto di scoglio,

e non dici parole

e nessuno ti parla.

(15 novembre '45)

 

The night you slept

 

Anche la notte ti somiglia,

la notte remota che piange

muta, dentro il cuore profondo,

e le stelle passano stanche.

Una guancia tocca una guancia -

è un brivido freddo, qualcuno

si dibatte e t'implora, solo,

sperduto in te, nella tua febbre.

La notte soffre e anela l'alba,

povero cuore che sussulti.

O viso chiuso, buia angoscia,

febbre che rattristi le stelle,

c'è chi come te attende l'alba

scrutando il tuo viso in silenzio.

Sei distesa sotto la notte

come un chiuso orizzonte morto.

Povero cuore che sussulti,

un giorno lontano eri l'alba.

 

In the morning you always come back

 

Lo spiraglio dell'alba

respira con la tua bocca

in fondo alle vie vuote.

Luce grigia i tuoi occhi,

dolci gocce dell'alba

sulle colline scure.

Il tuo passo e il tuo fiato

come il vento dell'alba

sommergono le case.

La città rabbrividisce,

odorano le pietre -

sei la vita, il risveglio.

Stella sperduta

nella luce dell'alba,

cigolio della brezza,

tepore, respiro -

è finita la notte.

Sei la luce e il mattino

 

The cats will know

 

Ancora cadrà la pioggia

sui tuoi dolci selciati,

una pioggia leggera

come un alito o un passo.

Ancora la brezza e l'alba

fioriranno leggere

come sotto il tuo passo,

quando tu rientrerai.

Tra fiori e davanzali

i gatti lo sapranno.

Ci saranno altri giorni,

ci saranno altre voci.

Sorriderai da sola.

I gatti lo sapranno.

Udrai parole antiche,

parole stanche e vane

come i costumi smessi

delle feste di ieri.

Farai gesti anche tu.

Risponderai parole -

viso di primavera,

farai gesti anche tu.

I gatti lo sapranno,

viso di primavera;

e la pioggia leggera,

l'alba color giacinto,

che dilaniano il cuore

di chi più non ti spera,

sono il triste sorriso

che sorridi da sola.

Ci saranno altri giorni,

altre voci e risvegli.

Soffriremo nell'alba,

viso di Primavera.

 

Indifferenza

E' sbocciato quest'odio come un vivido amore

dolorando, e contempla se stesso anelante.

Chiede un volto e una carne, come fosse un amore. 

Sono morte la carne del mondo e le voci

che suonavano, un tremito ha colto le cose;

tutta quanta la vita è sospesa a una voce.

Sotto un'estasi amara trascorrono i giorni

alla triste carezza della voce che torna

scolorendoci il viso. Non senza dolcezza

questa voce al ricordo risuona spietata

e tremante: ha tremato una volta per noi.

Ma la carne non trema. Soltanto un amore

la potrebbe incendiare, e quest'odio la cerca.

Tutte quante le cose e la carne del mondo

e le voci, non valgono l'accesa carezza

di quel corpo e quegli occhi. Nell'estasi amara

che distrugge se stessa, quest'odio ritrova

ogni giorno uno sguardo, una rotta parola,

e li afferra, insaziabile, come fosse un amore.

 

L'amico che dorme

 

Che diremo stanotte all'amico che dorme?

La parola più tenue ci sale alle labbra

dalla pena più atroce. Guarderemo l'amico,

le sue inutili labbra che non dicono nulla,

parleremo sommesso.

La notte avrà il volto

dell'antico dolore che riemerge ogni sera

impassibile e vivo. Il remoto silenzio

soffrirà come un'anima, muto, nel buio.

Parleremo alla notte che fiata sommessa.

Udiremo gli istanti stillare nel buio

al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,

che verrà d'improvviso incidendo le cose

contro il morto silenzio. L'inutile luce

svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti

taceranno. E le cose parleranno sommesso.

 

Passerò per Piazza di Spagna

 

Sarà un cielo chiaro.

S'apriranno le strade

sul colle di pini e di pietra.

il tumulto delle strade

non muterà quell'aria ferma.

I fiori spruzzati

di colori alle fontane

occhieggeranno come donne

divertite. Le scale

le terrazze le rondini

canteranno nel sole.

S'aprirà quella strada,

le pietre canteranno,

il cuore batterà sussultando

come l'acqua nelle fontane -

sarà questa la voce

che salirà le tue scale.

Le finestre sapranno

l'odore della pietra e dell'aria

mattutina. S'aprirà una porta.

il tumulto delle strade

sarà il tumulto del cuore

nella luce smarrita.

Sarai tu - ferma e chiara.

 

Creazione

 

Sono vivo e ho sorpreso nell'alba le stelle.

La compagna continua a dormire e non sa.

Dormon tutti, i compagni. La chiara giornata

mi sta innanzi più netta dei volti sommersi.

Passa un vecchio in distanza, che va a lavorare

o a godere il mattino. Non siamo diversi,

tutti e due respiriamo lo stesso chiarore

e fumiamo tranquilli a ingannare la fame.

Anche il corpo del vecchio dev'essere schietto

e vibrante - dovrebbe esser nudo davanti al mattino.

 

Stamattina la vita ci scorre sull'acqua

e nel sole: c'è intorno il fulgore dell'acqua

sempre giovane, i corpi di tutti saranno scoperti.

Ci sarà il grande sole e l'asprezza del largo

e la rude stanchezza che abbatte nel sole

e l'immobilità. Ci sarà la compagna

- un segreto di corpi. Ciascuno darà una sua voce.

Non c'è voce che rompe il silenzio dell'acqua

sotto l'alba. E nemmeno qualcosa trasale

sotto il cielo. C'è solo un tepore che scioglie le stelle.

Fa tremare sentire il mattino che vibra

tutto vergine, quasi nessuno di noi fosse sveglio.

 

CESARE PAVESE

 

Le ragazze al crepuscolo scendendo in acqua,

quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco

ogni foglia trasale, mentre emergono caute

 sulla sabbia e si siedono a riva. La schiuma

fa i suoi giochi inquieti, lungo l'acqua remota.

Le ragazze han paura delle alghe sepolte

sotto le onde, che afferrano le gambe e le spalle:

quant'è nudo, del corpo. Rimontano rapide a riva

e si chiamano a nome, guardandosi intorno.

Anche le ombre sul fondo del mare, nel buio,

sono enormi e si vedono muovere incerte,

come attratte dai corpi che passano. Il bosco

è un rifugio tranquillo, nel sole calante,

più che il greto, ma piace alle scure ragazze

star sedute all'aperto, nel lenzuolo raccolto.

Stanno tutte accosciate, serrando il lenzuolo

alle gambe, e contemplando il mare disteso

come un prato al crepuscolo. Oserebbe qualcuna

ora stendersi nuda in un prato? Dal Mare

balzerebbero le alghe, che sfiorano i piedi,

a ghermire e ravvolgere il corpo tremante.

Ci son occhi nel mare, che traspaiono a volte.

Quell'ignota straniera, che nuotava di notte

sola e nuda, nel buio quando la luna,

è scomparsa una notte e non torna mai più.

Era grande e doveva esser bianca abbagliante

perché gli occhi, dal fondo del mare, giungessero a lei. 

 

Anche tu sei amore

 

Anche tu sei l'amore.

Sei di sangue e di terra

come gli altri. Cammini

come chi non si stacca

dalla porta di casa.

Guardi come chi attende

e non vede. Sei terra

che dolora e che tace.

Hai sussulti e stanchezze,

hai parole - cammini

in attesa. L'amore

è il tuo sangue - non altro

 

Vorrei 

 

Vorrei poter soffocare

nella stretta delle tue braccia

nell'amore ardente del tuo corpo

sul tuo volto, sulle tue membra struggenti

nel deliquio dei tuoi occhi profondi

perduti nel mio amore,

quest'acredine arida

che mi tormenta.

Ardere confuso in te disperatamente

quest'insaziabilità della mia anima

già stanca di tutte le cose

prima ancor di conoscerle

ed ora tanto esasperata

dal mutismo del mondo

implacabile a tutti i miei sogni

e dalla sua atrocità tranquilla

che mi grava terribile

e noncurante

e nemmeno più mi concede

la pacatezza del tedio

ma mi strazia tormentosamente

e mi pungola atroce,

senza lasciarmi urlare,

sconvolgendomi il sangue

soffocandomi atroce

in un silenzio che è uno spasimo

in un silenzio fremente.

Nell'ebrezza disperata

dell'amore di tutto il tuo corpo

e della tua anima perduta

vorrei sconvolgere e bruciarmi l'anima

sperdere quest'orrore

che mi strappa gli urli

e me li soffoca in gola

bruciarlo annichilirlo in un attimo

e stringermi a te

senza ritegno più

ciecamente, febbrile,

schiantandoti, d'amore.

Poi morire, morire,

con te.

Il giorno tetro

in cui dovrò solitario

morire (e verrà, senza scampo)

quel giorno piangerò

pensando che potevo

morire così nell'ebbrezza

di una passione ardente.

Ma per pietà d'amore

non l'ho voluto mai.

Per pietà del tuo povero amore

ho scelto, anima mia,

la via del più lungo dolore.

(1927)

 

Ritorno di Deola

 

Torneremo per strada a fissare i passanti

e saremo passanti anche noi. Studieremo

come alzarci al mattino deponendo il disgusto

della notte e uscir fuori col passo di un tempo.

Piegheremo la testa al lavoro di un tempo.

Torneremo laggiù, contro il vetro, a fumare

intontiti. Ma gli occhi saranno gli stessi

e anche i gesti e anche il viso. Quel vano segreto

che c'indugia nel corpo e ci sperde lo sguardo

morirà lentamente nel ritmo del sangue

dove tutto scompare.

Usciremo un mattino,

non avremo più casa, usciremo per via;

il disgusto notturno ci avrà abbandonati;

tremeremo a star soli. Ma vorremo star soli.

Fisseremo i passanti col morto sorriso

di chi è stato battuto, ma non odia e non grida

perché sa che da tempo remoto la sorte

- tutto quanto è già stato o sarà - è dentro il sangue,

nel sussurro del sangue. Piegheremo la fronte

soli, in mezzo alla strada, in ascolto di un'eco

dentro il sangue. E quest'eco non vibrerà più.

Leveremo lo sguardo, fissando la strada.

 

CESARE PAVESE 

 

Le piante del lago

ti hanno vista un mattino.

I sassi le capre il sudore

sono fuori dei giorni,

come l'acqua del lago.

Il dolore e il tumulto dei giorni

non scalfiscono il lago.

Passeranno i mattini,

passeranno le angosce,

altri sassi e sudore

ti morderanno il sangue

- non sarà così sempre.

Ritroverai qualcosa.

Ritornerà un mattino

che, di là dal tumulto,

sarai sola sul lago.

 

E allora noi vili

 

E allora noi vili

che amavamo la sera

bisbigliante, le case,

i sentieri sul fiume,

le luci rosse e sporche

di quei luoghi, il dolore

addolcito e taciuto

noi strappammo le mani

dalla viva catena

e tacemmo, ma il cuore

ci sussultò di sangue,

e non fu più dolcezza,

non fu più abbandonarsi

al sentiero sul fiume 

non più servi, sapemmo

di essere soli e vivi

 

Lavorare Stanca (1940) 

 

La finestra socchiusa contiene un volto

sopra il campo del mare. I capelli vaghi

accompagnano il tenero ritmo del mare.

Non ci sono ricordi su questo viso.

Solo un'ombra fuggevole, come di nube.

L'ombra è umida e dolce come la sabbia

di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.

Non ci sono ricordi. Solo un sussurro

che è la voce del mare fatta ricordo.

Nel crepuscolo l'acqua molle dell'alba

che s'imbeve di luce, rischiara il viso.

Ogni giorno è un miracolo senza tempo,

sotto il sole: una luce salsa l'impregna

e un sapore di frutto marino vivo.

Non esiste ricordo su questo viso.

Non esiste parola che lo contenga

o accomuni alle cose passate. Ieri,

dalla breve finestra è svanito come

svanirà tra un istante, senza tristezza

né parole umane, sul campo del mare.

 

C'è un giardino

 

C'è un giardino chiaro, fra mura basse,

di erba secca e di luce, che cuoce adagio...

la sua terra. È una luce che sa di mare.

Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli

e ne scuoti il ricordo.

Ho veduto cadere

molti frutti, dolci, su un'erba che so,

con un tonfo. Così trasalisci tu pure

al sussulto del sangue. Tu muovi il capo

come intorno accadesse un prodigio d'aria

e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale

nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.

Ascolti.

La parole che ascolti ti toccano appena.

Hai nel viso calmo un pensiero chiaro

che ti finge alle spalle la luce del mare.

Hai nel viso un silenzio che preme il cuore

con un tonfo, e ne stilla una pena antica

come il succo dei frutti caduti allora.

 

Mi strugge l'anima

 

Mi strugge l’anima perdutamente

il desiderio d’una donna viva,

spirito e carne, da poterla stringere

senza ritegno e scuoterla, avvinghiato

il mio corpo al suo corpo sussultante,

ma poi, in altri giorni più sereni,

starle d’accanto dolcemente, senza

più un pensiero carnale, a contemplare

il suo viso soave di fanciulla,

ingenuo, come avvolto in un dolore

e ascoltare la sua voce leggera

parlarmi lentamente, come in un sogno…

24 ottobre 1925

 

*IL DESIDERIO

 

Il desiderio mi brucia

il desiderio di cose belle

che ho viste e non vissute.

Il desiderio mi brucia

ed impera ardente e solo

nel mio cuore e nel mio cervello.

   Desidero tante cose

che ho viste in trasparenza

di musica fiori e profumi.

   Di luci e di brusii strani

che avvicinani l'anima alla poesia.

Che è questa voce?

E' il mio violino che canta

(strano. Eppure io non ci sono!)

E questa vertigine insolita?

E' quello che provo quando La vedo.

Tutto pare uno strano capogiro di febbre

pieno di tanti frantumi di cristallo

che scintillano e tintinnano

tintinnano, tintinnano e scintillano...

...ed in questa vertiginosa ridda

ancora la vedo, bella e quasi assente

immensamente bella

ma lontana

                 ...lontana.....

                 ...lontana.....

...come la musica......

...come l'inebriante profumo....

...come le luci che ora sono

nel silenzio spente.

(8 marzo 1929)

 

Agonia

 

Girerò per le strade finché non sarò stanca morta

saprò vivere sola e fissare negli occhi

ogni volto che passa e restare la stessa.

Questo fresco che sale a cercarmi le vene

è un risveglio che mai nel mattino ho provato

così vero: soltanto, mi sento più forte

che il mio corpo, e un tremore più freddo accompagna

                il mattino.

Son lontani i mattini che avevo vent'anni.

E domani, ventuno: domani uscirò per le strade,

ne ricordo ogni sasso e le strisce di cielo.

Da domani la gente riprende a vedermi

e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi

e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo,

ero giovane e non lo sapevo, e nemmeno sapevo

di esser io che passavo-una donna, padrona

di se stessa. La magra bambina che fui

si è svegliata da un pianto durato per anni

ora è come quel pianto non fosse mai stato.

E desidero solo colori. I colori non piangono,

sono come un risveglio: domani i colori

torneranno. Ciascuna uscirà per la strada,

ogni corpo un colore-perfino i bambini.

Questo corpo vestito di rosso leggero

dopo tanto pallore riavrà la sua vita.

Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi

e saprò d'esser io: gettando un'occhiata,

mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino,

uscirò per le strade cercando i colori.

 

La casa

 

L'uomo solo ascolta la voce calma

con lo sguardo socchiuso, quasi un respiro

gli alitasse sul volto, un respiro amico

che risale, incredibile, dal tempo andato.

L'uomo solo ascolta la voce antica

che i suoi padri, nei tempi, hanno udito, chiara

e raccolta, una voce che come il verde

degli stagni e dei colli incupisce a sera.

L'uomo solo conosce una voce d'ombra,

carezzante, che sgorga nei toni calmi

di una polla segreta: la beve intento,

occhi chiusi, e non pare che l'abbia accanto.

E' la voce che un giorno ha fermato il padre

di suo padre, e ciascuno del sangue morto.

Una voce di donna che suona segreta

sulla soglia di casa, al cadere del buio.

 

(21 agosto - 12 settembre 1940)