* * * * Marina Ivanovna Cvetaeva * * * *

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Tutto il mio scrivere è un continuo prestare orecchio.

MARINA CVETAEVA

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Marina Ivanovna Cvetaeva - Alla vita


Non prenderai il mio rossore
intenso - come le piene dei fiumi!
Sei il cacciatore, ma io non cederò,
sei l'inseguimento, ma io sono la fuga.

Non prenderai la mia anima viva!
Così, nel galoppo delle cacce -
si china - e morde
una vena il cavallo
arabo.

Mi alzo (MARINA CVETAEVA)

Mi alzo
il vago grigiore della finestra
il freddo
la polvere della strada
la notte si affila
s'interroga di colpo
mentre si riscaldano le foglie sui rami
assumono luminosità
tagliente
la voce
la complessione
soldi
indizi
tracce
la corda tesa vibra
per questo slancio
per quell'altezza
alla base
uno sguardo
verticale.

Io sono una pagina per la tua penna

 

Io sono una pagina per la tua penna.

Tutto ricevo. Sono una pagina bianca.

Io sono la custode del tuo bene:

lo crescerò e lo ridarò centuplicato.

 

Io sono la campagna, la terra nera.

Tu per me sei il raggio e l’umida spiaggia.

Tu sei il mio Dio e Signore, e io

Sono terra nera e carta bianca.

 (trad. di P. A. Zveteremich)

Un giorno, meravigliosa creatura 

 

Un giorno, meravigliosa creatura,

io per te diventerò un ricordo,

 

là, nella tua memoria occhi-turchina

sperduto – così lontano lontano.

 

Tu dimenticherai il mio profilo col naso a gobba,

e la fronte nell’apoteosi della sigaretta,

 

e il mio eterno riso, che tutti intriga,

e il centinaio – sulla mia mano operaia –

di anelli d’argento – la soffitta-cabina,

la divina sedizione delle mie carte…

 

e come, in un anno tremendo, innalzate dalla sventura,

tu piccola eri ed io – giovane.

(trad. di P. A. Zveteremich)

Come pupilla                              

 

Come pupilla, nera; come pupilla, succhiante
la luce - ti amo, perspicace notte.

Dammi voce per cantarti, o progenetrice
delle canzoni, nella cui mano è la briglia dei quatro venti.

Chiamando te, te glorificando, io sono soltanto
una conchiglia dove ancora non s'è taciuto l'oceano.

Notte! Ho già scrutato a sazietà nelle pupille umane.
Inceneriscimi, nero sole - notte!

Ci sono al mondo i superflui, gli aggiunti

 

Ci sono al mondo i superflui, gli aggiunti

non registrati nell’ambito visuale.

(Che non figurano nei vostri manuali,

per cui una fossa da scarico è la casa.)

 

Ci sono al mondo i vuoti, i presi a spintoni,

quelli che restano muti: letame,

chiodo per il vostro orlo di seta!

Ne ha ribrezzo il fango sotto le ruote!

 

Ci sono al mondo gli apparenti – invisibili,

(il segno: macula da lebbrosario!)

ci sono al mondo i Giobbe, che Giobbe

invidierebbero se non fosse che:

 

noi siamo i poeti – e rimiamo con i paria,

ma, straripando dalle rive,

noi contestiamo Dio alle Dee

e la vergine agli Dei!

 

(trad. di P. A. Zveteremich)

ALLA NONNA


Oblungo duro ovale.
Svasature dell'abito nero...
Giovanne nonna! Chi ha baciato
le vostre labbra altere?

Mani che nelle sale del palazzo
i valzer di Chopin suonavano...
Ai lati del gelido viso
riccioli in forma di spirale.

Fosco, diritto e indagatore sguardo,
sguardo già pronto alla difesa.
Le donne giovani così non guardano.
Giovane nonna, chi siete?

Quante possibilità vi siete portata via,
e anche impossibilità - quante
- nell'insaziabile voragine della terra,
oh ventenne polacca!

Il giorno era innocente e fresco il vento.
Le cupe stelle s'erano spente.
-Nonna - questa crudele rivolta
nel mio cuore - non mi viene da voi?

‎23 MARZO 1923

Mentre l'amico caro attraversava
l'ultimo viale (filare di nodosi
addii) - più grandi degli sguardi
erano gli occhi.

Mentre l'amico amato doppiava
l'estremo promontorio (di sospiri
della mente: torna!) - più grandi delle mani
erano i gesti.

Quasi le braccia volessero lasciare
le spalle e le labbra - indietro,
a supplicare! Lottava con la lingua
la parola, il palmo con le dita...

Mentre l'ospite tenero passava...
- Signore, posa lo sguardo su di noi! -
le lacrime erano più enormi
di occhi umani, e delle stelle
sull'oceano.

Dopo una notte insonne si fa debole il corpo

 

Dopo una notte insonne si fa debole il corpo,

gentile diventa e non suo, - di nessuno.

Nelle vene lente di nuovo gemono frecce –

e sorrisi alla gente, come un serafino.

 

Dopo una notte insonne si fan deboli le braccia

e profondamente indifferente e il nemico e l’amico.

L’arcobaleno intero – in ogni suono casuale,

e nel ghiaccio profumo di Firenze ad un tratto.

 

Dolcemente lucenti si fanno le labbra, e l’ombra più dorata

intorno agli occhi incavati. E’ la notte che ha acceso

questo lucentissimo viso, - e per la notte scura

in noi scuri si fanno soltanto – gli occhi.

 

(trad. di G. Ansaldo)

MARINA IVANOVNA CVETAEVA - L'amore

 

L'amore

è lama? è fuoco?

Più quietamente - perché tanta enfasi?

E' dolore che è conosciuto come

gli occhi conoscono il palmo della mano

come le labbra sanno

del proprio figlio il nome.

Marina I.Cvetaeva

 

Semplice il mio portamento,
misero il mio tetto di casa.
Perché io sono un'isolana... ·        

         Il tuo nome - ah, non si può -
il tuo nome è un bacio sugli occhi,
sul tenero freddo delle palpebre immobili.
Il tuo nome è un bacio dato alla neve.
Un sorso di fonte, gelato, turchino.
...Con il tuo nome il sonno è profondo.

 

Marina I. Cvetaeva - Venuta da isole lontane!

Vivo - nessuno mi occorre!
Sale di sopra - non dormo le notti.
Per scaldare all'Estraneo la cena -
la mia abitazione brucerò!

Dà un'occhiata - è già un conoscente;
sale di sopra - ormai, che ci viva!
Semplici le nostre leggi,
scritte nel sangue.

E quest'incendio nel petto è garanzia
che un qualche Carlo ti sentirà, Corno!

Sono contenta che voi siate ammalato non di me

 

Sono contenta che voi siate ammalato non di me,
sono contenta che io sia ammalata non di voi,
che mai la pesante sfera terrestre
mancherà sotto i nostri piedi.

Sono contenta che si possa essere buffe -
lasciate andare - e non giocare con le parole,
e non arrossire di un'onda soffocante
appena sfiorandosi con le maniche.

Sono contenta, inoltre, che voi davanti a me
tranquillamente abbracciate un'altra,
non mi augurate di bruciare nel fuoco
infernale perché bacio non voi.

Che il mio dolce nome, mio tenero,
non ricordiate né di giorno né di notte - invano...
Che mai nel silenzio di una chiesa
canteranno sopra di noi: Alleluja!

Vi ringrazio con il cuore e con la mano
per il fatto che voi - senza saperlo!- così
mi amate: per la mia tranquillità notturna,
per la rarità degli incontri alle ore del tramonto,

per le nostre non-passeggiate sotto la luna,
per il sole non sopra le nostre teste,
per il fatto che voi siate ammalato -ahimé!- non di me,
per il fatto che io sia ammalata - ahimé!- non di voi.

Superficialità!

 

– Caro peccato,

Compagna mia e nemica mia carissima!

Tu versasti il sorriso nei miei occhi,

E la mazurka in tutte le mie vene.

Da te ho imparato a non tener l'anello,

Non m'avrebbe la vita presa in sposa!

A cominciare a caso, dalla fine,

E a finire però sempre daccapo.

A essere fuscello, e essere acciaio,

In questa vita, in cui si può sì poco...

A scioglier la tristezza con la cioccolata,

E a sorridere in viso a chiunque passa!

Indizi

 

Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l’amore dal dolore
lungo tutto il corpo.

Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l’amore dal lontano
di chi mi è accanto.

Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l’amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.

Vandalo in un’aureola
di vento! Riconosco
l’amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.

Riconosco l’amore dal boato
- dal trillo beato -
lungo tutto il corpo!

Ai miei versi scritti così presto

 

Ai miei versi scritti così presto,
che nemmeno sapevo d'esser poeta,
scaturiti come zampilli di fontana,
come scintille dai razzi.

Irrompenti come piccoli demoni
nel sacrario dove stanno sogno e incenso,
ai miei versi di giovinezza e di morte,
versi che nessuno ha mai letto!

Sparsi fra la polvere dei magazzini,
dove nessuno mai li prese né li prenderà,
per i miei versi, come per i pregiati vini,
verrà pure il loro turno.

Marina Ivanovna Cvetaeva

 

Tu cercati amiche fiduciose,
che non giustificano il prodigio col numero.
Io so che Venere è impresa di mani;
artigiano - io conosco il mestiere!
Dagli alti e solenni mutismi
sino a calpestare l'anima:
tutta la scala divina - dal:
io respiro - sino a: non respirare!

Ecco ancora una finestra...

 

Ecco ancora una finestra,
dove ancora non dormono.
Forse - bevono vino,
forse - siedono così.
O semplicemente - le due
mani non staccano.
In ogni casa, amico,
c'è una finestra così.
Non candele o lampade hanno acceso il buio:
ma gli occhi insonni!
Grido di distacchi e d'incontri:
tu, finestra nella notte!
Forse, centinaia di candele,
forse, tre candele...
Non c'è, non c'è per la mia
mente quiete.
Anche nella mia casa
è entrata una cosa come questa.
Prega, amico, per la casa insonne,
per la finestra con la luce

dicembre 1916

Tu mi copri il sole in alto nei cieli
Tu mi copri il sole in alto nei cieli,
Tutte le stelle nel cavo della tua mano! ...
Ah, se fossero - spalancate le porte! -
Come vento in te entrerei!

E balbettare, e avvampare d'ira,
E bruscamente chinare lo sguardo,
E, singhiozzando, acquietarsi,
Come nell'infanzia, quando perdonano.

PRIMAVERA …

Primavera... sopore... dormiremo.
Separati - eppure: ogni distanza
annulla il sonno... E forse
... in sogno ci si potrà vedere.

Onniveggente, il sogno
sa sempre chi riunire.
A chi confiderò il mio affanno?
A chi dirò la mia tristezza

disumana - creatura
senza padre, disperata
di finire... Ah, la pena
di chi piange da solo!

Su quanto come sabbia presto
scivolerà via dalla memoria. Di chi sa:
sono occupati nella vita i posti
e i cuori - presi a nolo: impiegati

senza ferie. Senza fine. Morti
per vivere - in vita - senza amore. Sepolti vivi
dal mattino - prima luce! - nell'archivio,
nell'Eliso degli storpi!

Su noi due - muti, mansueti: più dell'erba,
dell'acqua che ristagna. Sulla rovina
acerba che ci schianta. Sul rimprovero
del vento: schia-vi, schia-vi...

Da “I fili del telegrafo”