Letture di psicologia

SIGMUND FREUD - Introduzione alla psicoanalisi - Lezione 18.

 

Il copernicanesimo: una grande ferita inferta al narcisismo dell'uomo

Nel corso dei tempi l'umanità ha dovuto sopportare due grandi mortificazioni che la scienza ha recato al suo ingenuo amore di sé. La prima, quando apprese che la nostra terra non è il centro dell'universo, bensì una minuscola particella di un sistema cosmico che, quanto a grandezza, è difficilmente immaginabile. Questa scoperta è associata per noi al nome di Copernico, benché già la scienza alessandrina avesse proclamato qualcosa di simile.

 

Altre due ferite inferte al narcisismo dell'uomo


La seconda mortificazione si è verificata poi, quando la ricerca biologica annientò la pretesa posizione di privilegio dell'uomo nella creazione, gli dimostrò la sua provenienza dal regno animale e l'inestirpabilità della sua natura animale. Questo sovvertimento d i valori è stato compiuto ai nostri giorni sotto l'influsso di Charles Darwin, di Wallace e dei loro precursori, non senza la più violenta opposizione dei loro contemporanei.


Ma la terza e più scottante mortificazione, la megalomania dell'uomo è destinata a subirla da parte dell'odierna indagine psicologica, la quale ha l'intenzione di dimostrare all'Io che non solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche.

ERIC BERNE - La carezza è ogni atto che implichi il riconoscimento della presenza di un'altra persona.

 

Con "carezza" si indica generalmente l'intimo contatto fisico; nella pratica il contatto può assumere forme diverse. C'è chi accarezza il bambino, chi lo bacia, chi gli dà un buffetto o un pizzicotto. Tutti questi gesti hanno un corrispondente nella conversazione: basta sentir parlare una persona per capire come si comporta con i bambini. Per estensione, con la parola "carezza" si può indicare familiarmente ogni atto che implichi il riconoscimento della presenza di un'altra persona. La carezza perciò serve come unità fondamentale dell'azione sociale. Uno scambio di carezze costituisce una transazione, unità del rapporto sociale(...).

Stabilito dunque che il "maneggiamento" dei bambini e il suo equivalente simbolico per gli adulti, il riconoscimento, servono alla sopravvivenza, si pone la domanda: E poi? In parole povere, che cosa fa la gente dopo essersi salutata, o con un "salve" studentesco o con interminabili rituali all'orientale? Dopo la fame di stimolo e la fame di riconoscimento, viene la fame di struttura(...).

Non c'è niente di più penoso di uno iato sociale, di una pausa di silenzio, di un lasso di tempo non strutturato in cui non si sa più che dire (...).

L'eterno problema umano è la strutturazione delle ore di veglia. In questo senso esistenziale la funzione della vita sociale consiste nella reciproca assistenza per risolverlo.

 

Da "A che gioco giochiamo" , Bompiani editore

Opera di MUNIER
Opera di MUNIER

ERIC BERNE - Consapevolezza significa capacità di vedere una caffettiera e di sentire cantare gli uccelli a modo nostro e non come ci è stato insegnato.

 

L'autonomia si conquista quando si liberano o si recuperano tre capacità: consapevolezza, spontaneità e intimità.

Consapevolezza - Consapevolezza significa capacità di vedere una caffettiera e di sentire cantare gli uccelli a modo nostro e non come ci è stato insegnato. Si può presumere fondatamente che la vista e l'udito hanno una diversa qualità nei bambini e negli adulti e che nei primi anni di vita hanno un carattere più estetico e meno razionale. Il ragazzino gode a vedere gli uccellini e a sentirli cantare. Poi arriva il "buon papà", che è convinto di essere tenuto a "partecipare" a quella esperienza e ad aiutare lo "sviluppo" del figlio. Gli spiega "Quella è una ghiandaia e quello è un passero". Dal momento in cui il bambino si preoccupa di distinguere la ghiandaia dal passero, non è più capace di vedere gli uccelli e di sentirli cantare. Deve vederli e sentirli come vuole il padre. Dal canto suo il padre ha le sue buone ragioni: sono pochi quelli che si possono permettere di vivere ascoltando gli uccelli che cantano, e poi quanto prima si comincia l' "educazione" del bambino, tanto meglio è. E se diventasse un ornitologo, da grande? Qualcuno, tuttavia, riesce, da grande, a sentire e a vedere come quando era bambino. Ma nella maggior parte gli esseri umani non hanno più la possibilità di diventare pittori, poeti o musicisti e non hanno più la libertà di vedere e sentire direttamente, neanche quando se lo possono permettere; devono far tutto di seconda mano. Definiamo perciò consapevolezza il recupero di questa capacità.

 

Da "A che gioco giochiamo", pp. 205-206

Le carezze a scuola

 

Lo scambio di carezze fra insegnanti ed allievi influisce sull'atmosfera esistente all'interno della classe, condizionando le attività didattiche.

Il momento della valutazione, i rimproveri e le gratificazioni sono momenti giornalieri in cui ci si scambia carezze; il modo in cui gli studenti chiedono il proprio riconoscimento, il tipo di carezze che sollecitano, nonché la modalità di risposta dell'insegnante, sono tutti fattori che entrano a far parte della circolarità della comunicazione fra insegnanti ed allievi in un rapporto di influenze reciproche.

Carezze negative colpiscono e coinvolgono sia gli studenti che gi insegnanti, determinando momenti di intenso malessere.

Molto spesso gli alunni e gli insegnanti si restringono nei loro ruoli professionali scambiandosi solo carezze sull'attività, lasciando fuori dall'aula scolastica le reciproche persone. Quando ciò avviene la comunicazione si isterilisce, l'atmosfera diventa "pesante" e anche le attività ne risentono negativamente.

Un buon equilibrio di scambo di carezze rivolte all' "essere" e rivolte al "fare", costituisce un'efficace strategia per determinare la circolazione di una buona energia psicologica all'interno del gruppo-classe (...).

F. Montuschi in un suo lavoro sulle carezze a scuola ha evidenziato come le carezze nel'ambito scolastico appaiono in una gerarchia singolare, in quanto smbrano accentuare alcuni aspetti della persona, quali il riconoscimento delle attività svolte (es. Hai fatto un buon lavoro!), le qualità personali (intelligenza, sensibilità, volontà) e il bisogno di sopraffazione o di emergenza comparativa (es. E' il migliore della classe); lasciano però in ombra altri importanti aspetti della persona, con criteri spesso molto discutibili.

L'adeguato dosaggio delle carezze positive e negative, condizionate e inconizionate, delle gratificazioni e dei rimproveri è il risultato di una sapiente strategia educativa che tiene conto dei modi, dei tempi, dei rapporti interpersonali, delle esigenze di quell'allievo particolare, impedendo l'utilizzo in negativo ai fini della strutturazione del copione di vita, del rapporto con l'insegnante e con i compagni.

M. DE MARTINO, M. NOVELLINO. A. VICINANZA - L'alleanza nella relazione didattica. Analisi transazionale in campo psicopedagogico, Liguori editore.

"L'amore è la capacità e volontà di permettere alla persona a cui si vuole bene di essere ciò che vuole essere, senza insistenza o pretesa alcuna che essa dia soddisfazione". WAYNE W.DYER

 

Come puoi arrivare al punto di lasciar essere gli altri ciò che vogliono essere, senza pretendere che soddisfino le tue attese? Semplicissimo. Amando te stesso. Prendendo coscienza della tua importanza, del tuo valore, della tua bellezza, non esigerai che altri rafforzino il tuo valore o i tuoi valori col conformare il proprio comportamento alle tue esigenze o pretese...Tu sei tu e sei unico; quella pretesa, inoltre, toglierebbe agli altri la loro unicità, mentre ciò che tu ami in loro sono proprio quei tratti che li rendono speciali e distinti. Comincia a quadrare: tu prendi ad amare te stesso e, d'un tratto, sei in grado di amare gli altri, di dare agli altri, di agire per gli altri, dando prima a te stesso e agendo a tuo beneficio...Tu non dai per essere ringraziato o trarre vantaggi, ma per l'autentico piacere che trai dall'aiutare o amare gli altri. Ma se non vali nulla, ovvero non ami te stesso, ti è impossibile dare...

Anche se hai agito in un modo che detesti, il disprezzo per te stesso non farà che immobilizzarti e danneggiarti. Anzché odiarti, sviluppa sentimenti positivi. Impara dagli errori, decidi di non ricadervi, ma non associarli al senso del tuo valore".

WAYNE DYER - Le vostre zone erronee. Guida all'indipendenza dello spirito. Bur Rizzoli quindicesima edizione 2008.

Carl Gustav Jung - Il motto «Volere è potere» è la superstizione dell'uomo moderno


Opportunamente il Faust di Goethe afferma: « ‘Im Anfang war die Tat’ [in principio era l'azione] ». Le «azioni» non furono mai inventate, ma semplicemente compiute; i pensieri, d'altra parte, costituiscono una scoperta relativamente recente dell'uomo. Dapprima egli era spinto all'azione da fattori inconsci e solo dopo molto tempo cominciò a riflettere sulle cause da cui era stato mosso; infine c'è voluto un periodo di tempo ancora più lungo prima che egli arrivasse all'idea assurda di essere stato spinto ad agire dai propri impulsi soggettivi - essendo la sua mente incapace di identificare qualunque altra forza stimolante al di fuori della propria. L'idea che una pianta o un animale si inventino da soli ci fa ridere, eppure molti credono che la psiche o la mente si siano inventate da sé e che abbiano creato la propria esistenza. In realtà, la mente si è sviluppata fino alla sua fase attuale di consapevolezza nello stesso modo in cui la ghianda si viene trasformando in quercia o i sauri sono diventati progressivamente mammiferi. Essa si è venuta sviluppando per un lunghissimo arco di tempo e continua tuttora a svilupparsi; noi siamo perciò sottoposti all'azione sia di forze interiori che di stimoli esterni. Questi moventi interiori scaturiscono da una sorgente profonda, che non è costituita dalla coscienza e resta al di fuori del suo controllo. Nella mitologia primitiva queste forze erano chiamate "mana", ovvero spiriti, demoni e divinità. Esse sono altrettanto attive oggigiorno quanto lo sono sempre state in passato. Se si conformano ai nostri desideri noi attribuiamo loro il significato di sentimenti o impulsi positivi e ci congratuliamo con noi stessi per essere benvoluti dalla sorte. Se invece esse ci contrastano, allora diciamo di essere perseguitati dalla sfortuna, che certa gente ci vuol male o che la causa delle nostre disgrazie deve essere patologica. L'unica cosa che ci rifiutiamo di ammettere è di essere in balìa di «forze» che non siano riducibili al nostro controllo. E' pur vero, d'altra parte, che nei tempi recenti l'uomo civilizzato ha acquisito una energica forza di volontà che egli applica nelle più diverse occasioni. Egli ha imparato a svolgere efficacemente il proprio lavoro senza ricorrere a canti o a tamburi per ipnotizzarsi e spingersi ad agire. Egli può anche fare a meno della preghiera quotidiana per invocare l'aiuto divino; egli arriva a fare da solo ciò che vuole e a tradurre apparentemente le sue idee in azione senza alcun inciampo, mentre l'uomo primitivo sembra condizionato a ogni passo da timori, superstizioni e altri ostacoli invisibili che si frappongono fra lui e l'azione. Il motto «Volere è potere» è la superstizione dell'uomo moderno.
Eppure l'uomo contemporaneo, pur di mantener viva questa fede, paga lo scotto di una grave mancanza di introspezione. Egli resta cieco al fatto che, pur con tutta la sua razionalità e la sua efficienza, «forze» non controllabili lo tengono ancora in loro balìa. I suoi dèi e i suoi demoni non sono affatto scomparsi: hanno solo cambiato nome. Essi lo tengono in uno stato d'agitazione incessante attraverso vaghe apprensioni, complicazioni psicologiche, un bisogno insaziabile di pillole, di alcool, di tabacco, di cibo e soprattutto imponendogli un pesante fardello di nevrosi.

(Da “Introduzione all’inconscio” (“Zugang zum Unbewussten”), in ID. e Marie-Luise von Franz, Joseph L. Henderson, Jolande Jacobi, Aniela Jaffé, “L’uomo e i suo i simboli”, Tea, Milano su licenza Longanesi, Milano 1980, 2011).

ERICH FROMM - Il corteggiamento secondo le modalità del'avere o dell'essere

 

"Durante il corteggiamento, nessuno dei due partner è ancora sicuro dell'altro: ciascuno di essi cerca di conquistare l'altro. Entrambi sono pieni di vitalità, attraenti, interessanti, persino belli, poiché la vitalità sempre rende bello un volto. Nessuno dei due ha l'altro; ne consegue che l'energia di ciascuno dei due è rivolta all'essere, vale a dire a cedere all'altro e a stimolarlo. In seguito al matrimonio, la situazione assai spesso cambia completamente. Il contratto matrimoniale conferisce a ciascun partner l'esclusivo possesso del corpo, dei sentimenti e dell'affetto dell'altro. Non occorre più conquistare nessuno, perché l'amore è diventato qualcosa che si ha, una proprietà. I due cessano di compiere lo sforzo di essere amabili e di produrre amore, e quindi divengono noiosi, e pertanto la loro bellezza scompare. Sono delusi e perplessi. Non sono forse più le stesse persone? Che abbiano commesso un errore iniziale? Di solito, ciascuno dei due cerca nell'altro la causa del mutamento e si sente defraudato. Ciò di cui non si rendono conto è che non sono più le stesse persone che erano quando si amavano a vicenda, e che l'errore per cui si può avere l'amore li ha condotti a cessare di amare. Adesso, invece di amarsi a vicenda, spostano l'interesse su ciò che hanno in comune: denaro, rango sociale, una casa, dei figli. E così accade che, in certi casi, il matrimonio, iniziato sulla base dell'amore, si trasformi in un amichevole possesso, una società in cui i due egotismi confluiscono in uno solo: quello della "famiglia". Da Erich Fromm - Avere o essere?

LAWRENCE ALMA-TADEMA  - La timidezza
LAWRENCE ALMA-TADEMA - La timidezza

VITTORINO ANDREOLI - Da che cosa dipende la paura? (Intervista)

Se noi vogliamo chiederci: ma la paura da dove deriva? dobbiamo considerare tre fattori.

Per primo, conta come è fatto il nostro cervello, cioè la nostra biologia. E quindi è legata alle caratteristiche proprio fisiche, biologiche, però non è solo questo, perché altrimenti riporteremmo la paura a una qualche molecola. E' quello che si chiama "riduzionismo biologico".

Dipende anche da un altro fattore, che è la nostra personalità. C'è una personalità che si forma nei primi anni di vita, in particolare nel periodo da 0 a 3 anni. In quel periodo è come se la nostra personalità venisse organizzata, venisse gettata nelle linee fondamentali. E, per esempio, dipende quindi dall'esperienza di quella età se noi siamo più fiduciosi o sfiduciati, se noi siamo estroversi o introversi. E un estroverso ha meno paura di chi invece si chiude dentro di sé. Il timido, per esempio, non affronta le situazioni. Possiamo definirlo, in qualche modo, uno che ha paura di affrontare la realtà. Ecco, queste caratteristiche della personalità si formano in questo periodo della vita. Quindi vedi, biologia come è il cervello, come è la personalità, come si struttura questa personalità, che chiamiamo anche di base.

Poi c'è un altro fattore, è l'ambiente. Nessuno può negare che ci può essere un ambiente che spaventa e un ambiente che rassicura, ci può essere un insegnate che, chissà perché, ti mette in uno stato di forte disagio e un altro con cui ti trovi bene. Ecco, l'ambiente non è solo la situazione fisica, geografica, ma è ambiente come relazione. Allora sono tre i fattori e tutte le volte in cui noi vogliamo capire,  perché chiunque di noi ha a che fare con la propria paura o con la paura dell'altro, beh, non è questione di una formula magica, ma c'è proprio oggi la possibilità di capire la paura da un punto di vista scientifico. Allora, dipende dal cervello, dipende dalla personalità di base, cioè da quella che viene strutturata nei primi anni di vita, importantissima la vita infantile, ma anche da un ambiente, cioè l'ambiente geografico, ma soprattutto l'ambiente psicologico.

LAWRENCE ALMA-TADEMA
LAWRENCE ALMA-TADEMA

VITTORINO ANDREOLI - La paura d'amare

 

L'amore è un sentimento di grande sicurezza, ma proprio perché diventa qualche cosa che uno sente come indispensabile si arriva al paradosso che si ha paura di perderlo. E allora anche l'amore ha un velo di paura, che può arrivare fino a delle forme gravi, la gelosia. Io sostengo che la gelosia non è una patologia. Naturalmente una gelosia che sia proprio come un sentimento di perdere il proprio amore; ecco, quindi la gelosia, che vuol dire la paura di perdere quella condizione di sicurezza, è quanto mai, è quanto mai giustificata. Certo, quando arriva a essere non più proporzionata, ad essere addirittura un delirio, per cui uno si vede braccato e vede da per tutto nemici, che gli rubano il proprio oggetto d'amore, beh diventa una vera e propria follia, perché è un delirio. Però - è una considerazione questa molto, molto umana -, anche l'amore che è la più grande terapia alla paura, però comporta la paura di perdere questo strumento di difesa. Quindi, questo mi porta a dire che la paura è prima di tutto una caratteristica esistenziale e quindi bisogna vincere l'idea che la paura, quando la si sente, è negativa. Ma, come vi ripeto, bisogna distinguere bene la fase in cui la paura, non solo è accettabile, ma è utile al nostro vivere, da quando invece è veramente dannosa.

Prometeo
Prometeo
Erich Fromm
La storia umana si è evoluta grazie ad atti di disobbedienza

Nell'opera LA DISOBBEDIENZA ...E ALTRI SAGGI Erich Fromm sostiene che la storia umana è iniziata e si è evoluta con atti di disobbedienza (miti di Adamo ed Eva e di Prometeo). La disobbedienza può essere un atto contro (ribellione) o per qualcosa (affermazione della ragione). “Secondo i miti giudaici ed ellenici, la storia dell’uomo è stata inaugurata da un atto di disobbedienza. Adamo ed Eva, che abitavano nel paradiso terrestre, erano parte integrante della natura; vivevano con essa in armonia, e tuttavia la trascendevano. Stavano dentro la natura così come il feto sta dentro l’utero della madre. Erano umani, e in pari tempo non lo erano ancora. Tale condizione mutò allorché essi disobbedirono a un ordine. Spezzando i legami con la terra e la madre, tagliando il cordone ombelicale, l’uomo è uscito da una condizione di armonia preumana ed è stato in grado di compiere il primo passo verso l’indipendenza e la libertà. L’atto di disobbedienza ha sciolto Adamo ed Eva dalle pastoie e ha aperto loro gli occhi. Essi si sono riconosciuti estranei l’uno all’altra, ed estraneo e anzi ostile è apparso loro il mondo esterno. Il loro atto di disobbedienza ha scisso il legame originario con la natura e li ha resi individui. Il «peccato originale», lungi dal corrompere l’uomo, lo ha anzi reso libero; è stato esso l’inizio della storia. L’uomo ha dovuto abbandonare il paradiso terrestre per imparare a dipendere dalle proprie forze e diventare pienamente umano (pp. 11-12). (…) Esattamente come il mito giudaico di Adamo ed Eva, quello ellenico di Prometeo concepisce la civiltà umana basata tutta quanta su un atto di disobbedienza. Rubando il fuoco agli dei, Prometeo pone le fondamenta dell’evoluzione umana. Non ci sarebbe storia umana senza il “delitto” di Prometeo, il quale, al pari di Adamo ed Eva, è punito per la sua disobbedienza; ma Prometeo non si pente, non chiede perdono. Al contrario, afferma orgogliosamente di preferire “essere incatenato a questa roccia che non il servo obbediente degli dei”. L’ uomo ha continuato a evolversi mediante atti di disobbedienza. Non soltanto il suo sviluppo spirituale è stato reso possibile dal fatto che nostri simili hanno osato dire «no» ai poteri in atto in nome della propria coscienza o della propria fede, ma anche il suo sviluppo intellettuale è dipeso dalla capacità di disobbedire: disobbedire alle autorità che tentassero di reprimere nuove idee e all’autorità di credenze sussistenti da lungo tempo, e secondo le quali ogni cambiamento era privo di senso. Se la capacità di disobbedire ha segnato l’inizio della storia umana,… può darsi benissimo che l’obbedienza ne provochi la fine” (LA DISOBBEDIENZA E ALTRI SAGGI(1981/ed. Mondadori, Milano 1982) pp.12-13)

MARK FLAPAN - Le motivazioni che inducono una donna sposata ad avere figli o non averne.

 

"Motivazioni riproduttive in un campione di donne sposate, anteriormente alla nascita del primo figlio".

 

Nessuna entità di tipo biologico(come l'istinto materno o la pulsione alla maternità) può rendere conto delle motivazioni che inducono una donna a far figli.

Tali motivazioni possono essere comprese soltanto nel contesto della valutazione, da parte della donna, della situazione in cui vive e dei mutamenti che si aspetta vi siano apportati dal fatto di generare un bambino. Una donna è motivata o posta in stato di conflitto in relazione alla procreazione dalla costellazione di significati che essa associa ai mutamenti biologici prodotti dal concepimento e ai mutamenti personali e interpersonali provocati dalla maternità. 

(...) Una donna può essere o no consapevole della molteplicità di significati diversi che la motivano alla procreazione, la rendono riluttante a fare figli o la inducono a stati conflittuali. Questi significati emergono, direttamente o indirettamente, nei suoi ricordi, aspettative, credenze, valori, desideri, speranze, preoccupazioni, timori, paure, sogni e fantasie concernenti la gravidanza il parto, la maternità, l'allevamento.

(...) Le motivazioni e i conflitti relativi al parto e alla maternità mutano con le successive esperienze riproduttive. Ciò significa che l'esperienza della gravidanza, delle doglie, del parto e della maternità altera le susseguenti motivazioni alla gravidanza e alla riproduzione.

Data la molteplicità di significati che confluiscono nelle motivazioni riproduttive, la decisione sia di avere che di non avere un bambino comporta una qualche forma di conflitto, sia pure minima.

(...)

Le donne che rimandano la maternità oltre un certo periodo convenzionale stabilito o che contemplano la possibilità di rimanere senza figli diventano acutamente consapevoli dell'aspettativa sociale riguardo alla riproduzione...una donna che ponga in questione l'inevitabilità o la desiderabilità della procreazione può sentirsi ostretta dall'aspettativa sociale a conformarsi. Il rifiuto di conformarsi può suscitare sentimenti di colpa o di incertezza.

(...)Una donna può aspettarsi di trovare le sue caratteristiche riflesse e perpetuate nel figlio, oppure considerare la procreazione un modo di compensare le carenze che avverte in se stessa, allevando un figlio il quale realizzi ciò che essa non è stata capace di realizzare o diventi quello che lei vorrebbe essere.

D'altro canto, se una donna ha scarsa stima di sé, può essere riluttante a far figli, nel timore che il figlio cresca simile a lei, con difetti simili ai suoi. A seconda  di come si valuta, dunque, una donna può desiderare o meno la continuità biologica che si ottiene mediante la procreazione con una sorta di immortalità.

 

Una donna che ammira la propria madre può volere dei figli per diventare una madre come quella che ha avuto lei ... e risuscitare, nel ruolo della madre, la felice vita familiare che ha sperimentato quand'era bambina.

Se invece ritiene che la propria madre sia stata carente o infelice, può tenere, diventando madre a sua volta, di mostrarsi altrettanto carente e di sperimentare la maternità essenzialmente come un peso e un sacrificio...

D'altro canto una donna che non ammira la propria madre può considerare l'allevamento dei figli come un mezzo per dimostrare che lei, invece, è capace di essere una buona madre.... stabilendo con i propri bambini un rapporto diverso da quello avuto con sua madre.

(...) Una donna può desiderare un figlio per giocare con lui e dedicarsi ai tipi di attività che piacciono ai bambini. Vuole rivivere per interposta persona le esèperienze dell'infanzia o, al contrario, far partecipare il bambino alle attività a cui essa si dedica e dalle quali trae soddisfazione.

Quando una donna si sente sola, annoiata, scontenta, può sperare che un bambino riempia il vuoto della sa vita.

(...) Una donna può pensare che l'esperienza dell'allevamento la renderà più ionteressante come persona, inducendola a preoccuparsi meno di se stessa e a diventare più rsponsabile e più matura. Un'altra può invece aspettarsi che i doveri e la routine della maternità limiteranno i supoi orizzonti e ostacoleranno il suo sviluppo intellettuale, o incideranno negativamente sulla sua salute o la faranno invecchiare anzitempo.

(Da "Il desiderio di maternità" - AA.VV., Boringhieri Torino 1979, pp.261-272.

ERVING GOFFMAN - La vita quotidiana come rappresentazione

 

Nell'opera "La vita quotidiana come rappresentazione". Erving Goffman studia la vita sociale secondo un'ottica particolare, usando la prospettiva della rappresentazione teatrale. Nella vita quotidiana la parte rappresentata da un individuo è adattata alle parti rappresentate dagli altri, ma questi, a loro volta, costituiscono anche il pubblico.

 

"Nella nostra società certi gesti involontari avvengono in una così vasta varietà di rappresentazioni e comunicano impressioni generalmente tanto incompatibili con quelle presentate che questi avvenimenti inopportuni hanno acquistato uno status simbolico collettivo. Possiamo citarne approssimativamente tre gruppi.

- Anzotutto un attore (*) può accidentalmente comunicare incapacità, scorrettezza o insolenza perdendo momentaneamente il controllo dei propri muscoli. Può inciampare, ruzzolare, cascare; ruttare; sbadigliare, fare una "papera", grattarsi o avere flatulenze, può anche accidentalmente urtare contro un altro partecipante.

- In secondo luogo, l'attore può agire in modo da dare l'impressione di essere troppo o troppo poco interessato all'interazione, balbettando, dimenticando la sua parte, apparendo nervoso, colpevole o imbarazzato, abbandonandosi a risate fuori luogo, a rabbia o ad altre esibizioni che momentaneamente gli impediscono l'interazione, facendolo sembrare troppo o troppo poco coinvolto ed interessato.

Infine l'attore pouò metter in scena rappresentazioni che risentono di una regia inadeguata. L'ambientazione può essere disordinata, o può esser stata preparata per una rappresentazione diversa, o può alterarsi durante l'azione; fatti imprevisti possono far calcolare male la sincronia dei tempi in cui l'attore deve arrivare o partire, o causare pause imbarazzanti durante l'interazione.

(...)Siamo inclini a ignorare il fatto che nella nostra stessa società molte rappresentazioni profane della vita di ogni giorno devono essere sottoposte ad un controllo rigoroso di conformità, convenienza, correttezza e decoro.

(...)La coerenza espressiva richiesta nelle rappresentazioni indica una netta dissonanza fra il nostro fin troppo umano "io" ed un "io" socializzato. Come esseri umani siamo principalmente creature dagli impulsi variabili, con umori ed energie che cambiano da un momento all'altro: come personaggi davanti ad un pubblico, tuttavia, non possiamo permetterci alti e bassi... Si pretende una certa burocratizzazione dello spirito per garantirsi una rappresentazione perfettamente omogenea ogni qualvolta venga richiesta".

 

ERVING GOFFMAN - "La vita quotidiana come rappresentazione", Il Mulino Bologna

* Attore è chiunque abbia delle interazioni sociali: il medico con i pazienti, uomini e donne, la stessa persona con i familiari oppure con il datore di lavoro, con i colleghi ecc.

SIGMUND FREUD - Dimenticanze

 

Si perdono oggetti quando ci si è inimicati con il loro donatore e non si vuole più pensare a lui, o anche quando non ci piacciono più e ci si vuol creare un pretesto per sostituirli con altri migliori.

Alla stessa intenzione, diretta contro l'oggetto, serve naturalmente anche lasciarli cadere, spezzarli, romperli. Si può ritenere un caso che uno scolaro perda, rovini, rompa, proprio prima del suo compleanno, gli oggetti di suo uso personale, per esempio la cartella di scuola o l'orologio?

Chi ha provato un certo numero di volte la pena di non saper ritrovare qualcosa che egli stesso ha riposto, non sarà disposto a credere che anche nello smarrire vi sia il concorso di un'intenzione. E tuttavia non sono affatto rari gli esempi in cui le circostanze che compaiono nello smarrimento indicano una tendenza a eliminare l'oggetto, temporaneamente o permanentemente.

Forse il miglior esempio di questo genere è il seguente.

Un uomo piuttosto giovane mi racconta: "Alcuni anni fa ci furono malintesi nel mio matrimonio.

Trovavo mia moglie troppo fredda e, sebbene ne riconoscessi le eccellenti qualità, vivevamo l'uno accanto all'altra senza tenerezza. Un giorno lei portò a casa da una passeggiata un libro che aveva comprato perché poteva interessarmi. La ringraziai di questo segno di 'attenzione', promisi di leggere il libro, lo misi da parte e non lo trovai più.

Passarono così dei mesi: ogni tanto mi ricordavo del libro scomparso e tentavo di ritrovarlo, ma invano. Circa sei mesi dopo si ammalò la mia diletta madre, che non abitava con noi. Mia moglie abbandonò casa nostra per andare a curare la suocera. Le condizioni dell'ammalata divennero gravi dando occasione a mia moglie di mostrare i suoi lati migliori. Una sera ritornai a casa pieno di ammirazione e di gratitudine per quanto mia moglie faceva. Mi avvicinai alla mia scrivania e, senza un'intenzione determinata ma con sicurezza sonnambolica, aprii un determinato cassetto nel quale vidi per prima cosa il libro smarrito e per tanto tempo cercato". Col venir meno del motivo ebbe

fine anche lo smarrimento dell'oggetto.

(...) Nella mia "Psicopatologia della vita quotidiana" (apparsa per la prima volta nel 1901) troverete in ogni caso una ricchissima casistica per lo studio degli atti mancati .

Da Sigmund Freud,  "Introduzione alla psicoanalisi".

GIOCHI, GIOCATTOLI, RUOLI E TIPIZZAZIONI SESSUALI

 

“Ci dà fastidio che le bambine imparino a fischiare, ci sembra naturale che lo faccia un maschio. Si interviene se una bambina ride sguaiatamente, ma ci va benissimo che lo faccia un maschietto. Non tolleriamo che una bambina stia “scomposta”, ci sembra normale che stia “scomposto” un maschio. Si pretende che una bambina non urli, non parli a voce alta, ma se si tratta di un bambino ci sembra naturale. Puniamo una bambina, trasalendo di raccapriccio, se dice parolacce, se le dice un maschietto ci viene da ridere. Se un maschietto non dice grazie e prego chiediamo scusa per lui, se non lo fa una bambina siamo molto contrariati. ..Mettiamo in ridicolo un bambino che ha paura, ci sembra normalissimo in una bambina. Se una bambina piagnucola le diciamo che è noiosa ma le diamo retta, se lo fa un bambino gli diciamo che è una femminuccia.

Spingiamo un bambino a giocare alla guerra, ad arrampicarsi sugli alberi, a cimentarsi fisicamente, ma tratteniamo la bambina che vorrebbe fare le stesse cose. Se una bambina prende a calci una palla le insegniamo che è meglio tirarla con le mani, al maschietto insegniamo che è più bello prenderla a calci...L’elenco potrebbe continuare a lungo. L’adulto attua una vera e propria selezione automatica degli interventi a seconda del sesso”.

(Da E.GIANINI BELOTTI - Dalla parte delle bambine, Feltrinelli Milano 1982, pp. 75-77).

INGRES - Il sogno di Ossian
INGRES - Il sogno di Ossian

ERICH FROMM - "Il linguaggio dimenticato"
La natura del linguaggio simbolico
Supponiamo di dover spiegare a qualcuno la differenza che esiste fra il sapore del vino bianco e quello del vino rosso; potrebbe sembrare una cosa semplicissima. La differenza ci è ben nota; perché dunque non dovrebbe essere altrettanto semplice spiegarla a qualcun altro? Eppure è difficilissimo rendere in parole questa differenza di gusto. E, con tutta probabilità, si finirebbe per dire: "Guarda, non riesco a spiegartelo. Bevi del vino rosso e poi del vino bianco e capirai da solo qual è la differenza". Non incontriamo difficoltà nel trovare le parole adatte a spiegare l'ingranaggio più complicato, eppure esse sembrano inutili a descrivere una semplice esperienza del senso del gusto.
Non è forse vero che lo stesso problema ci si ripresenta quando vogliamo spiegare un'esperienza emotiva? prendiamo per esempi uno stato d'animo in cui ci si senta sperduti, abbandonati in un mondo che ci appare squallido, un po' spaventevole, sebbene non proprio pericoloso. Volete descrivere questo stato d'animo a un amico, ma anche in questo caso vi trovate ad annaspare alla ricerca delle parole e infine vi rendete conto che nulla di ciò che avete detto fornisce una spiegazione adeguata delle svariate sfumature di questo vostro stato d'animo. La notte seguente fate un sogno. Vi vedete alla periferia di una città, poco prima che sorga l'alba, le strade sono deserte fatta eccezione per i camion del latte, le case hanno un aspetto misero, ciò che vi circonda vi appare estraneo, e non avete a disposizione nessuno dei soliti mezzi di trasporto per poter raggiungere luoghi a voi familiari e ai quali sentite di appartenere. Quando vi svegliate e vi ricordate del sogno, vi accorgete che la sensazione che avete provato nel sogno era esattamente quella sensazione di smarrimento e di grigiore che il giorno prima avevate cercato di descrivere al vostro amico. E' soltanto un'immagine, alla cui realizzazione bastò meno di un secondo; eppure si tratta di una descrizione più viva e precisa di quella che avreste potuto fornire parlando diffusamente intorno a questa sensazione.  L'immagine che vedete nel sogno è il simbolo di qualcosa che avete sentito".
INGRES - Il sogno di Ossian

BRUNO BETTELHEIM - I genitori di un figlio o una figlia adolescente.

 

"Di solito, quando l'adolescente afferma il suo bisogno di condurre un'esistenza autonoma, il genitore ha raggiunto l'età in cui incomincia a temere il declino delle proprie forze. In tal caso, i passi del figlio verso l'autonomia vengono vissuti dal genitore come una minaccia alla propria potenza, minaccia che risulterebbe attenuata qualora il figlio lavorasse nel suo stesso campo, dove la sua maggiore esperienza potrebbe continuare a garantirgli una forma di superiorità.
Così profondamente umano è questo conflitto che lo troviamo rappresentato in molte fiabe di tutti i tempi e paesi. La gelosia della madre, la cui bellezza e femminilità sono in declino nel momento in cui quelle della figlia giungono a fioritura, è immortalata nella figura della cattiva matrigna di Biancaneve e la gelosia del vecchio re nei confronti della forza e delle conquiste del giovane successore ha trovato espressione esemplare nella storia di re Saul e Davide....
Nella nostra cultura invecchiare è una cosa che fa paura....Nella nostra società c'è il mito della giovinezza, e qualunque cosa sembra intaccarlo, per esempio il fatto che i nostri figli diventano grandi, viene vissuta come una minaccia personale, che va respinta sforzandosi di essere, o almeno di apparire, giovani, forti, e sessualmente attraenti, come loro".
BRUNO BETTELHEIM - "Un genitore quasi perfetto!", Feltrinelli.

W. DYER - Alcune strategie per superare l'inquietudine

 Invece di farti ossessionare dal futuro, comincia a considerare il presente come fatto di momenti da vivere. Quando ti sorprendi in ansia, domandati: "A che cosa tento di sfuggire adesso, mentre riempio d'ansia questo momento?", quindi va' all'attacco di ciò che stai evitando. il miglior antidoto all'inquietudine è l'azione.

Ammettere l'inutilità dell'inquietudine. Domandati e torna a domandarti: "Cambierà mai una cosa in grazia delle mie preoccupazioni?".

Concedere tempi sempre più brevi all'inquietudine. Fissa dieci minuti al mattino e dieci del pomeriggio come segmenti di tempo riservati alle ansie e infilaci tutti i potenziali disastri con cui vuoi affliggerti. Poi, facendo appello a tutta la tua capaictà di controllo mentale, scaduto il tempo, rimanda ogni ulteriore preoccupazione ai successivi dieci minuti stabiliti. Ti accorgerai ben presto di quanto sia sciocco buttare via il tempo in questo modo e finirai con l'eliminare del tutto la tua fascia dell'inquietudine.

Scegliere deliberatamente di agire in una maniera che è in diretto conflitto coi campi nei quali sei solito esercitare la tua inquietudine. Se ti costringi a mettere da parte dei soldi, sempre preoccupato come sei di non avere abbastanza denaro per un altro giorno, comincia a spenderli oggi.

Comincia ad affrontare i timori con pensieri ed azioni produttive.

Il presente è la chiave che permette di comprendere i tuoi modi di sentirti in colpa o di essere in ansia. Impara a vivere nel presente e a non sciuparlo in pensieri paralizzanti sul passato o sul futuro. Non vi è altro momento da vivere che il presente, e tutti i tuoi futili sensi di colpa e inquietudini occupano l'elusivo presente.

WAYNE W, DYER - "Le vostre zone erronee. Guida all'indipendenza dello spirito". Bur Rizzoli 2008.

GUSTAV JAHODA - Psicologia della superstizione

 

"La superstizione è particolarmente destinata ad apparire in situazioni di acuto pericolo o disagio, in cui sia insita normalmente un'eccessiva incertezza. Ciò può rappresentare un regresso ad atteggiamenti emotivi più infantili...oppure un ritorno a idee e credenze che, acquisite durante le prime esperienze emotive, rimarrebbero latenti in circostanze ordinarie. D'altra parte s'è già detto come la superstizione possa avere nel medesimo tempo la positiva funzione di dare alla persona la sensazione di possedere un certo grado di controllo; per quanto illusorio, può essere un aiuto per preservare l'integrità della personalità. Fenomeni del genere sono stati ripetutamente osservati in situazioni di crisi.
(...)
Ma, come ebbe a dire David Hume, l'inclinazione non sarà sradicata mai perché, paradossalmente, fa parte integrante del meccanismi di adattamento senza i quali l'umanità sarebbe incapace di sopravvicere".
GUSTAV JAHODA - "Psicologia della superstizione, Mondadori Milano 1972, pp.196-198.

DAVID MATZA

 

Come si diventa devianti

 

Il Mulino 1976

 

 

"La selezione umana, con cui gli individui sono classificati da una parte o dall'altra, non è cieca, fortuita o priva di scopo. Non meno naturale della selezione che avviene nel regno organico, la selezione umana segue direttrici diverse. L'ironia della direzione (l'evoluzione è una direzione) che non è prodotta da alcuna intenzione, è sostituita da una che è meno audace. Nella selezione naturale di Darwin l'evoluzione non ha Autore. La soluzione umana fa riassumere all'autorità una posizione centrale, ma un'ironia permane. Poiché è un essere umano colui che definisce un altro come deviante può intendere qualcosa di completamente diverso oppure, se è conscio della propria attività, può ritenere che essa sia priva di conseguenze, che essa segua la formazione del carattere, senza pensare che invece vi contribuisce. Nel regno umano l'ironia della selezione è che essa viene fatta con buione intenzioni, non senza intenzioni. L'autoinganno, la malafede, i limiti della prospettiva e la miopia sostituiscono le forze completamente cieche della natura. Restituito il movente, le conseguenze diventano più inique.

Quando l'individuo viene etichettato come ladro, prostituta o, più in generale, come deviante, ciò porta a favorire e ad accelerare il processo del divenire proprio quella cosa. M a la radicalizzazione implicita nell'essere chiamati in un certo modo, nell'essere inquadrati come tali, o anche trattati come tali, non sarebbe così significativo se il soggetto - in questo caso l'oggetto della significazione - non avesse già dato prova di essere più deviante di quanto, visto dall'esterno, egli evidentemente è. A causa del bando e poiché collabora con tale logica, il soggetto può essere dedito alla deviazione più di quanto non avesse stimato inizialmente. Egli deve essere scaltro per essere deviante. Di conseguenza si prepara ad uno sviluppo "deviante" ancora più sorprendente".

RENOIR
RENOIR

LUIGIA CAMAIONI

 

Come diseducare i propri figli

 

(Introduzione a D. ELKIND, "Educazione e diseducazione", Il Mulino Bologna 1991).

 

L'estensione dell'educazione prescolastica, ... il proliferare di programmi, libri e metodologie... per insegnare ai figli di pochi anni la matematica, la lettura e scrittura, la crescente diffusione di corsi di addestramento in vari tipi di sport (costituiscono) un'accelerazione o anticipazione di tappe e traguardi relativi all'apprendimento di materie tipicamente scolastiche e al padroneggiamento di abilità sportive o, più raramente, espressive (musica, pittura, ecc.). Una siffatta accelerazione diseduca in quanto propone obiettivi per sé giusti al momento sbagliato e con ritmi inadeguati, mentre diverso è il caso dell'accelerazione verso la conquista dell'autonomia e della maturità...

Spingere il bambino ad autonomizzarsi precocemente dagli adulti ed a comportarsi "come un adulto" sarebbe meno grave e rischioso che chiedergli di "imparare" precocemente e in fretta ciò che potrebbe meglio imparare e comprendere più tardi. I genitori che spingono verso l'autonomia lo fanno perché trovano difficile districarsi tra lavoro e allevamento della prole; i genitori che diseducano sono molto più esclusivamente concentrati sull'educazione dei figli, ai quali vogliono offrire il massimo, così che diventino bambini "speciali" piuttosto che "normali"...

Bisogna riconoscere, d'altro canto, che questa preocità intellettuale e sociale richiesta ai bambini non deriva soltanto dagli atteggiamenti educativi adottati da genitori e insegnanti, ma è anche la conseguenza inevitabile di cambiamenti economici e sociali più ampi: l'enorme diffusione dei mass media e la loro influenza sulle nuove generazioni, la pressione esercitata dal gruppo di coetanei, e in generale il livello di progresso tecnologico caratteristico delle società a capitalismo avanzato.

 

(Non credo opportuno) tenere i bambini piccoli lontai dai prodotti tecnologici più tipici della nostra era dell'informazione, i calcolatori. Non concordo per il semplice motivo che i computer sono parte del loro ambiente di vita quotidiano e del loro mondo esperienziale, e pertanto non sono oggetti "misteriosi"  e minacciosi" (probabilmente possono essere tali per gli adulti cresciuti nell'epoca pre-computer) ma piuttosto strumenti familiari su cui i bambini possono operare attivamente per poterli conoscere meglio.

FRANCESCO TONUCCI - I bambini e la manipolazione televisiva

 

E' difficile sapere esattamente quali meccanismi conoscitivi, affettivi, sociali e fisici la costante e prolungata visione di programmi televisivi produce nei bambini. da unaparte produe certamente conoscenza. La televisione è capace di offrire servizi, programmi, documentari smpre più belli, ricchi di informazione e di fascino. certamente oggi i nostri bambini imparano più nozioni dalla televisione che dalla scuola. Sono sempre però nozioni e conoscenze udite e viste. Le mani servono sempre di meno, il bambino non impara a fare, è quindi solo nella sua immobilità.

Insieme alle trasmissioni migliori il bambino assorbe però tanti programmi di basso livello, cartoni animati violenti, mal fatti, realizzati senza scrupoli come puri prodotti commerciali, costruiti in serie, usando in maniera povera sistemi informatizzati, e poi assiste a tutte le trasmissioni pensate per gli adulti con la violenza dello spettacolo e la crudeltà dell'informazione.

Sono quasi sempre programmi a cui il bambino assiste da solo, senza possibilità di dialogo, di confronto, di distrazione: il bambino solo con il televisore. Le paure entrano dentro, non possono essere esorcizzate e poi saltano fuori nel mezzo della notte, con un brutto sogno, un incubo...

In questo dialogo intimo e intenso (si provi ad osservare lo sguardo rapito di un bambino davanti al televisore) avviene una manipolazione molto preoccupante dei nostri bambini, della quale anche l'ente televisivo di Stato si rende complice: negli spazi dedicati ai bambini vengono trasmessi spot pubblicitari direttamente indirizzati a loro perché essi si facciano persuasori di consumi presso i loro genitori. La manipolazione è grave perchè suscita nel bambino bisogni inutili, che modificheranno negativamente la sua personalità, nella continua ricerca di cose nuove, perdendo progressivamente la capacità di apprezzarle e usarle ed entrando nella logica perversa dell'usa e getta. E' grave perché il bambino viene trasformato in un potente postulante presso i genitori, potendo far leva sul loro senso di colpa per essere così poco presenti nella vita del figlio.