Psicologia della moda

La moda

 

Il campo in cui opera la moda abbraccia l’abbigliamento, il comportamento, la cultura, la politica, legate dall’attenzione per l’esteriorità.

L’inutilità della moda, la sua esteriorità, il suo carattere effimero, la sua scarsa utilità pratica sia nei contenuti che nella forma, le sue caratteristiche di fragilità (la moda non fa parte di nessun valore essenziale) e di futilità, il rapido consumo dei modelli seguiti,  testimoniano un desiderio di apparire e di distinguersi, che si esprime paradossalmente attraverso l’imitazione di un modello dato.

Secondo Simmel la stratificazione della società in classi è all’origine del fenomeno moda. La moda è il simbolo del prestigio sociale. La paura di perdere la propria identità di gruppo e di confondersi induce le classi a differenziarsi fra loro attraverso l’abbigliamento, i comportamenti ed i gusti. La sua evoluzione è legata alle innovazioni tecnologiche. La continua evoluzione della moda è voluta e programmata dalle offerte dell’industria e del mercato, che sfruttano e manipolano i bisogni delle persone. Su essi si fonda la società dei consumi.

In passato il sorgere di una moda era determinato da una precisa esigenza individuale o sociale. Nel passato il guardinfante fu creato per rispondere all’esigenza delle dame di nascondere la gravidanza.  

 

Fattore sociale della moda

 

La funzione della moda consiste nell’inserire un atteggiamento, un comportamento, un modello o un oggetto nuovo nella cultura della massa. Nella fase iniziale essa persegue lo scopo di attirare l’attenzione degli altri (esibizionismo), ma soddisfa anche il bisogno di trasgressione, di evasione da ciò che è familiare e istituzionalizzato. La moda coinvolge numerosi fattori psicologici e sociali.

Ognuno cerca di appropriarsi dell’atteggiamento, del modo di essere o di apparire della classe superiore, di appropriarsi di uno status sociale superiore in quanto è l’unico mezzo per paragonarsi a coloro che, per nascita, potere o denaro ne fanno parte.

La moda è l’imitazione di un modello, che appaga il bisogno di un sostegno sociale, conduce il singolo su una strada che gli altri approvano, individualizza ciò che è universale ma, allo stesso tempo, appaga il bisogno di diversità, la tendenza al cambiamento, universalizza ciò che è individuale. La moda è un paradosso: in essa la tendenza all’uguaglianza sociale e alla differenziazione individuale si congiungono.

 

I bisogni psicologici del consumatore

Nella vita quotidiana siamo portati a dare giustificazioni logiche di ogni nostro atto o pensiero, anche se, alla base del nostro modo di pensare e di comportarci, ci sono soltanto razionalizzazioni secondarie, di cui spesso ci rendiamo conto in misura molto limitata e che trovano le loro radici nell’inconscio. La base profonda del comportamento del consumatore è molto spesso irrazionale ed è ispirata a fattori emotivi. Nel consumatore si alternano impulsi razionali e irrazionali, si intrecciano le attese, le motivazioni e gli atteggiamenti.

Il primo livello di comportamento è caratterizzato dalla ricerca, da parte dell’individuo, della soddisfazione immediata. Esso è tipico degli irrazionali, degli impulsivi, degli immaturi, che mancano di prospettive temporali (non si proiettano nel futuro) e non riflettono sulle loro scelte; hanno una ridotta capacità di programmazione e mirano soltanto a soddisfare con immediatezza i loro bisogni momentanei.

Il secondo livello del comportamento d’acquisto è quello dei soggetti conformisti, conservatori, abitudinari, senz’altro più maturi dei soggetti del gruppo precedente, in quanto sono capaci di effettuare delle programmazioni a medio e lungo termine. Essi non mirano tanto a soddisfare i bisogni immediati quanto ad adeguarsi ai modelli sociali e non rimangono influenzati tanto dalle caratteristiche esteriori del prodotto (l’immagine) quanto dalla pressione esercitata su di loro dal gruppo (suggestione emotiva).

Un terzo tipo di consumatore è quello che mira a soddisfare il bisogno di prestigio sociale, ad affermare se stessi e ad emergere rispetto agli altri (acquisto come esibizionismo). Tale atteggiamento nasconde una fondamentale insicurezza e mira a compensare un sentimento di inferiorità. Questi soggetti sono sempre ansiosi di novità: sono coloro che non si perdono mai la prima rappresentazione di un film che ha fatto discutere, che acquistano prodotti innovatori, rivoluzionari, per sperimentarne l’efficacia prima degli altri e poi divulgane le caratteristiche positive o negative agli altri.

Questi individui sono stati efficacemente chiamati leaders d’opinione  (oggi li chiameremmo influencers) e sono i soggetti più facilmente influenzabili dalle campagne pubblicitarie, che mirano a convincere i gruppi indirettamente, modificando gli atteggiamenti dei loro membri più influenti. I leaders d’opinione agiscono come elementi trainanti del gruppo, con particolare riferimento ai conformisti, ossia a coloro che maggiormente avvertono l’esigenza di adeguarsi al comportamento del gruppo. 

 

 L’immagine psicologica di un marchio, di una griffe

 

L’immagine psicologica di una marca è un complesso di simboli, di cariche affettive, di significati sociali, di cui si carica un prodotto affinché il consumatore desideri appropriarsi di essi acquistando il prodotto. La marca risveglia nell’individuo un contenuto emozionale di cui i tecnici pubblicitari sono ben consapevoli. L’atto di acquistare un prodotto di marca implica un’espansione dell’essere.

La firma celebre (griffe) dà una nota di prestigio anche agli oggetti quotidiani, dagli occhiali alle mattonelle, alimentando un giro di affari che appaga il desiderio di essere in e di aumentare il proprio prestigio. La moda è una caratteristica della nostra società e della nostra epoca, dove l’essere lascia il posto all’apparire.

La moda consente una competitività sociale e sessuale: la moda spesso distingue le persone in “imitatori” e “imitati” ma, il più delle volte, l’imitazione avviene sia dall’alto verso il basso che nel senso inverso: le élites adottano lo stile casual, popolare, primitivo e pratico.

Un esempio? I jeans, nei secoli addietro, venivano utilizzati dai marinai genovesi: erano calzoni da lavoro. Nel 1853, Levi Strauss decise di realizzare capi d'abbigliamento utili ai cercatori d'oro e fondò a San Francisco la Levi Strauss & Co. Negli anni Sessanta furono adottati dai giovani contestatori, che videro in essi il simbolo della contestazione. Oggi i jeans sono indossati da tutti, ma alcune ditte realizzano jeans dal disegno particolarmente curato per clienti danarosi. 

 

I mass media

 

I media sono i migliori strumenti di diffusione della moda che, attraverso le immagini della gente di spettacolo, hanno un’enorme presa sul pubblico nell’imporre modi di abbigliarsi e di comportarsi. 

L’elevazione della moda a sistema di vita rischia di condurre ad un’omologazione dei valori del comportamento. La massificazione dei comportamenti nasconde una perdita dello spirito critico e un’assenza di capacità di elaborazione della realtà, che produce forma di intolleranza, la negazione di ogni differenza e il rifiuto dei valori positivi e creativi della soggettività. 

Pier Paolo Pasolini criticò aspramente le degenerazioni del consumismo: sostenne che la cultura proletaria, ancora indenne ai guasti del consumismo, rischiava di perdere la propria identità, adottando quella della piccola borghesia, con i suoi piccoli e mediocri valori. 

Psicologia dell’abbigliamento

 

Gli abiti che indossiamo forniscono agli altri una prima impressione su di noi, mentre l’interpretazione dei lineamenti del viso e delle caratteristiche del corpo richiede una certa vicinanza e un grado di intimità. Dagli abiti di una persona inferiamo la sua età, il suo sesso, il suo livello sociale, l’attività che svolge.

Nella società occidentale secondo Flugel l’abito soddisfa tre scopi fondamentali: abbellimento, pudore e protezione. Il motivo dell’ornamento è fondamentale in molte culture: le società non industrializzate sono spesso prive di indumenti, ma non di ornamenti, dimostrando, con ciò, che ciò che indossano non risponde ad un senso del pudore, bensì all’esigenza di decorarsi e di abbellire il suo corpo.

Secondo Flugel l’abito si presenta come un modo ingegnoso di mostrare senza esibirsi; è un punto di collegamento tra pudore e ornamento: esso attira l’attenzione sul corpo che vorrebbe nascondere.

Un confronto con la psicologia animale e l'antropologia

 

La maggior parte delle specie animali vede il maschio trasformarsi nel periodo del corteggiamento; inoltre è sempre il maschio il più decorativo, dotato com’è di elementi che catturano l’attenzione: il ricco piumaggio, i colori vivaci, le criniere, le code fluenti. Nelle culture non industrializzate è l’uomo a dedicare grandi attenzioni all’ornamento, mentre nella società occidentale generalmente succede il contrario. Inoltre il pudore inibisce la donna occidentale, a causa dei tabù sociali. 

 

Il pudore, secondo Flugel, è una reazione contro la tendenza all’esibizionismo; esso tende a nascondere il proprio corpo, per evitare di attirare lo sguardo altrui. L’ornamento, invece, attira lo sguardo proprio sulle parti più erotiche: il decollétè, il punto vita, i fianchi.