* * * * * * * * * John Keats * * * * * * * * *

JOHN WILLIAM GODWARD An offering to Venus (1912)
JOHN WILLIAM GODWARD An offering to Venus (1912)

JOHN KEATS

 

Io ti grido pietà! Amore, sì, amore!

Misericorde amore che dona senza chiedere,

Racchiuso in un pensiero, saldo, sincero amore,

Che non è mascherato, che un'ombra non può ledere!

Dammi tutto di te - tutto - tutto - sii mia!

Le tue forme bellissime, dei tuoi baci l'incanto,

I tuoi occhi, le mani: dammi la fantasia

Che m'accende il tuo seno così tenero e bianco.

Dammi te stessa e l'anima: per pietà sii arrendevole,

Non lesinare un atomo se tu non vuoi che muoia,

O, continuando a vivere, ormai tuo miserevole

Schiavo, perda il palato della mia mente il gusto,

Dimentichi per sempre gli scopi della vita

E in quel dolore sterile l'ambizione infinita.

Che mi ami tu lo dici, ma con una voce...

 

Che mi ami tu lo dici, ma con una voce
più casta di quella d'una suora
che per sé sola i dolci vespri canta,
quando la campana risuona -
Su, amami davvero!

Che mi ami tu lo dici, ma con un sorriso
freddo come un'alba di penitenza,
Suora crudele di San Cupido
Devota ai giorni d'astinenza -
Su, amami davvero!

Che mi ami tu lo dici, ma le tue labbra
tinte di corallo insegnano meno gioia
dei coralli del mare -
Mai che s'imbroncino di baci -
Su, amami davvero!

Che mi ami tu lo dici, ma la tua mano
non stringe chi teneramente la stringe.
È morta come quella d'una statua.
Mentre la mia brucia di passione -
Su, amami davvero!

Su, incendiamoci di parole
e bruciandomi sorridimi - stringimi
come devono gli amanti - su, baciami.
E l'urna, poi, delle mie ceneri seppelliscila nel tuo cuore -
Su, amami davvero!

ALPHONSE MUCHA - Le stagioni
ALPHONSE MUCHA - Le stagioni

Le stagioni umane

 

Quattro stagioni fanno intero l'anno,
quattro stagioni ha l'animo dell'uomo.
Egli ha la sua robusta Primavera
quando coglie l'ingenua fantasia
ad aprire di mano ogni bellezza;
ha la sua Estate quando ruminare
il boccone di miel primaverile
del giovine pensiero ama perduto
di voluttà, e così fantasticando,
quanto gli è dato approssimarsi al cielo;
e calmi ormeggi in rada ha nel suo Autunno
quando ripiega strettamente le ali
pago di star così a contemplare
oziando le nebbie, di lasciare
le cose belle inavvertite lungi
passare come sulla siglia un rivo.
Anche ha il suo Inverno di sfiguramento
pallido, sennò forza gli sarebbe
rinunciare alla sua mortal natura.

WILLIAM BOUGUEREAU
WILLIAM BOUGUEREAU

Fantasia

 

Lascia sempre vagare la fantasia,
È sempre altrove il piacere:
E si scioglie, solo a toccarlo, dolce,
Come le bolle quando la pioggia picchia;
Lasciala quindi vagare, lei, l’alata,
Per il pensiero che davanti ancor le si stende;
Spalanca la porta alla gabbia della mente,
E, vedrai, si lancerà volando verso il cielo.

Al sonno

 

O soave che balsamo soffondi
alla quieta mezzanotte, e serri
con attente e benevole dita
gli occhi nostri del buio compiaciuti,
protetti dalla luce, avvolti d'ombra
nel ricovero di un divino oblio.
O dolcissimo sonno! Se ti piace
chiudi a metà di questo, che è tuo, inno
i miei occhi in vedetta, o attendi l'Amen
prima che il tuo papavero al mio letto
largisca in carità il suo dondolio.
Poi salvami, altrimenti il giorno andato
lucido apparirà sul mio guanciale
di nuovo, producendo molte pene,
salvami dall'alerte coscienza
che viepiù insignorisce il suo vigore
causa l'oscurità, scavando come
una talpa. Volgi abile la chiave
nella toppa oliata e dà il sigillo
allo scrigno, che tace, del mio cuore.

GUSTAVE CAILLEBOTTE
GUSTAVE CAILLEBOTTE

JOHN KEATS - Solitudine, se vivere devo con te

 

Solitudine, se vivere devo con te,
Sia almeno lontano dal mucchio confuso
Delle case buie; con me vieni in alto,
Dove la natura si svela, e la valle,
il fiorito pendio, la piena cristallina
Del fiume appaiono in miniatura;
Veglia con me, dove i rami fanno dimora,
E il cervo veloce, balzando, fuga
Dal calice del fiore l'ape selvaggia.
Qui sarei felice anche con te. Ma la dolce
Conversazione d'una mente innocente, quando le parole
Sono immagini di pensieri squisiti, è il piacere
Dell'animo mio. È quasi come un dio l'uomo
Quando con uno spirito affine abita in te.

Senza di te

 

Non posso esistere senza di te.
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
la mia vita sembra che si arresti lì,
non vedo più avanti.
Mi hai assorbito.
In questo momento ho la sensazione
come di dissolvermi:
sarei estremamente triste
senza la speranza di rivederti presto.
Avrei paura a staccarmi da te.
Mi hai rapito via l'anima con un potere
cui non posso resistere;
eppure potei resistere finché non ti vidi;
e anche dopo averti veduta
mi sforzai spesso di ragionare
contro le ragioni del mio amore.
Ora non ne sono più capace.
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio Amore è egoista.
Non posso respirare senza di te.

EDWARD HUGHES - The night
EDWARD HUGHES - The night

Fulgida stella 

 

Oh fossi come te, lucente stella,
costante - non sospeso in solitario
splendore in alto nella notte, e spiando,
con le palpebre schiuse eternamente
come eremita paziente ed insonne
della natura, le mobili acque
nel loro compito sacerdotale
di pura abluzione intorno ai lidi
umani della terra, o rimirando
la maschera di nuova neve che
sofficemente cadde sopra i monti
e sopra le brughiere, no - ma sempre
costante ed immutabile posare
il capo sul bel seno maturante
del mio amore e sentire eternamente
il suo dolce abbassarsi e sollevarsi,
per sempre desto in una dolce ansia,
sempre udire il suo tenero respiro
e vivere cosi perennemente -
o svenire altrimenti nella morte.

 

Bright Star
Bright star, would I were stedfast as thou art–
Not in lone splendour hung aloft the night
And watching, with eternal lids apart,
Like nature’s patient, sleepless Eremite,
The moving waters at their priestlike task
Of pure ablution round earth’s human shores,
Or gazing on the new soft-fallen mask
Of snow upon the mountains and the moors–
No–yet still stedfast, still unchangeable,
Pillow’d upon my fair love’s ripening breast,
To feel for ever its soft fall and swell,
Awake for ever in a sweet unrest,
Still, still to hear her tender-taken breath,
And so live ever–or else swoon to death.

Ode su un'urna Greca 

I

Tu, ancora inviolata sposa della quiete,
Figlia adottiva del tempo lento e del silenzio,
Narratrice silvana, tu che una favola fiorita
Racconti, più dolce dei miei versi,
Quale intarsiata leggenda di foglie pervade
La tua forma, sono dei o mortali,
O entrambi, insieme, a Tempo o in Arcadia?
E che uomini sono? Che dei? E le fanciulle ritrose?
Qual è la folle ricerca? E la fuga tentata?
E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia? 

II

Sì, le melodie ascoltate sono dolci; ma più dolci
Ancora sono quelle inascoltate. Su, flauti lievi,
Continuate, ma non per l'udito; preziosamente
Suonate per lo spirito arie senza suono.
E tu, giovane, bello, non potrai mai finire
Il tuo canto sotto quegli alberi che mai saranno spogli;
E tu, amante audace, non potrai mai baciare
Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti
Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire,
E tu l'amerai per sempre, per sempre così bella.

III

Ah, rami felici! Non saranno mai sparse
Le vostre foglie, e mai diranno addio alla primavera;
E felice anche te, musico mai stanco,
Che sempre e sempre nuovi canti avrai;
Ma più felice te, amore più felice,
Per sempre caldo e ancora da godere,
Per sempre ansimante, giovane in eterno,
Superiori siete a ogni vivente passione umana
Che il cuore addolorato lascia e sazio,
La fronte in fiamme, secca la lingua.

IV
E chi siete voi, che andate al sacrificio?
Verso quale verde altare, sacerdote misterioso,
Conduci la giovenca muggente, i fianchi
Morbidi coperti da ghirlande?
E quale paese sul mare, o sul fiume,
O inerpicato tra la pace dei monti
Hai mai lasciato questa gente in questo sacro mattino?
Silenziose, o paese, le tue strade saranno per sempre,
E mai nessuno tornerà a dire
Perché sei stato abbandonato.

V

Oh, forma attica! Posa leggiadra! Con un ricamo
D'uomini e fanciulle nel marmo,
Coi rami della foresta e le erbe calpestate.
Tu, forma silenziosa, come l'eternità
Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale!
Quando l'età avrà devastato questa generazione,
Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori
Non più nostri, amica all'uomo, cui dirai
"Bellezza è verità, verità bellezza", questo solo
Sulla terra sapete, ed è quanto basta.

La bella dama senza pietà 

 

I

Oh, che ti strugge, armato cavaliere,
che vaghi solo e affranto?
Nel lago sbianca la ninfea,
d’uccelli non v’è il canto.

 

II

Oh che ti strugge, armato cavaliere,
così triste ed inquieto?
Dello scoiattolo è piena la tana:
il raccolto è completo.

 

III

Un giglio bianco è sulla tua fronte,
d’angoscia umida e di febbre stanca,
e sulle tue guance una rosa che muore:
anch’essa rapida sbianca.

 

IV

Incontrai in quei campi una vera signora,
di piena bellezza – delle fate lignaggio.
Lunga la chioma, il piede leggero,
e lo sguardo selvaggio.

 

V

A lei intrecciai una viva ghirlanda,
e una cintura, e fasce perfette,
così mi guardò com’io fossi l’Amore,
e dolce gemette.

 

VI

La posi sul mio cavallo trottante,
e null’altro vidi in quella giornata
poiché di traverso si mise e cantò
delle fate la serenata.

 

VII

Mi recò radici dal dolce sapore,
e miele selvatico, e di manna un torrente,
e in lingue strane di certo mi disse
“ti amo realmente”.

 

VIII

Mi portò dunque all’elfica grotta
e lì versò, triste, lacrime audaci
e lì io chiusi i suoi umidi occhi
con quattro baci.

 

IX

E lì mi cullò finché non dormii
e lì feci un sogno – in mente ribolle
che sia maledetto quell’ultimo sogno
sul freddo fianco del colle.

 

X

E vidi re smunti, e principi anche,
e smunti guerrieri, il destino segnato;
Piangevano – “La belle dame sans merci
ti ha catturato!”

 

XI

E vidi al crepuscolo le labbra morenti,
serrate in un monito folle,
e mi svegliai ed ero già qui,
sul freddo fianco del colle.

 

XII

Ed ecco perché mi trovo qui
che vago solo e affranto.
Nel lago sbianca la ninfea,
d’uccelli non v’è il canto.

 

La belle dame sans merci

 

I.
O WHAT can ail thee, knight-at-arms,
Alone and palely loitering?
The sedge has wither’d from the lake,
And no birds sing.

II.
O what can ail thee, knight-at-arms!
So haggard and so woe-begone?
The squirrel’s granary is full,
And the harvest’s done.

III.
I see a lily on thy brow
With anguish moist and fever dew,
And on thy cheeks a fading rose
Fast withereth too.

IV.
I met a lady in the meads,
Full beautiful—a faery’s child,
Her hair was long, her foot was light,
And her eyes were wild.

V.
I made a garland for her head,
And bracelets too, and fragrant zone;
She look’d at me as she did love,
And made sweet moan.

VI.
I set her on my pacing steed,
And nothing else saw all day long,
For sidelong would she bend, and sing
A faery’s song.

VII.
She found me roots of relish sweet,
And honey wild, and manna dew,
And sure in language strange she said—
“I love thee true.”

VIII.
She took me to her elfin grot,
And there she wept, and sigh’d fill sore,
And there I shut her wild wild eyes
With kisses four.

IX.
And there she lulled me asleep,
And there I dream’d—Ah! woe betide!
The latest dream I ever dream’d
On the cold hill’s side.

X.
I saw pale kings and princes too,
Pale warriors, death-pale were they all;
They cried—“La Belle Dame sans Merci
Hath thee in thrall!”

XI.
I saw their starved lips in the gloam,
With horrid warning gaped wide,
And I awoke and found me here,
On the cold hill’s side.

XII.
And this is why I sojourn here,
Alone and palely loitering,
Though the sedge is wither’d from the lake,
And no birds sing.

Son qui tra noi l'anime vostre

 

Son qui tra noi l'anime vostre,
O poeti della passione e della gioia!
Avete forse altre anime su nel cielo?
C'è forse una doppia vita nelle regioni nuove?
E' così. Parlano le anime celesti
Con le sfere del sole e della luna,
Col rumore delle fontane incantate,
Con la loquela di voci tonanti,
Col sussurro d'alberi celesti
E una con l'altra, in agio quieto,
Sedute sui prati Elisi
Ove brucano solo le cerbiatte di Diana,
Sotto tende di immensi narcisi,
Dove le margherite profumano di rosa,
e la rosa stessa un profumo
Possiede, ignoto alla terra,
Dove canta l'usignolo
Non un'estasi insensata
Ma la melodiosa verità divina,
Armonie soavi di pensieri,
Storie e racconti dorati
Del cielo e dei suoi misteri.

Così vivete in cielo. Poi di nuovo,
Vivete sulla terra. E le anime
Che indietro lasciaste in questo cimitero
C'insegnano adesso il sentiero
Che porta ove voi siete beate,
Anime mai stanche, anime mai annoiate.
Qui le vostre anime nate dalla terra,
Parlano ancora ai mortali
Del loro tempo breve, della tristezza e del piacere,
Della passione e della gloria, della vergogna e del rancore,
Di ciò che abbatte e di ciò che invece dà vigore.
Così saggezza c'insegnate ogni giorno:
E anche se via siete volate, restate qui d'attorno.

Son qui tra noi l'anime vostre,
o poeti della passione e della gioia:
Avete forse altre anime su nel cielo?
C'è forse una doppia vita nelle regioni nuove?

JOHN KEATS - Ode a un usignolo

Il cuore mi duole, e un sonnolento torpore affligge
i miei sensi, come se della cicuta io abbia bevuto,
o vuotato un greve sonnifero fino alle fecce
or è solo un minuto, e verso Lete sia sprofondato:
non è per invidia della tua felice sorte,
ma per esser troppo felice nella tua felicità,
che tu, Driade degli alberi dalle ali leggere,
in un melodioso recinto
verde di faggi, e dalle ombre innumerevoli,
canti dell’estate agevolmente a gola piena.

Oh, per un sorso della vendemmia! che sia stato
rinfrescato per lungo tempo nella terra profondamente scavata,
sàpido di Flora e del rustico prato,
di danza, e canzoni provenzali, e dell’assolata allegria!
Oh! per una coppa piena del tepido Mezzogiorno,
pieno del vero, del rosato Ippocrene,
con perlate bolle occhieggianti sull’orlo,
e la bocca macchiata di porpora:
ch’io potessi bere, e lasciare il mondo non veduto,
e con te vanire via nella foresta opaca:

vanir via lontano, dissolvermi, e affatto dimenticare
ciò che tu tra le foglie non hai mai conosciuto,
il languore, la febbre, e l’ansia
qui, dove gli uomini seggono e odon l’un l’altro gemere;
dove la paralisi scuote pochi, tristi, ultimi capelli grigi,
dove la giovinezza si fa pallida e spettrale, e muore;
dove pur il pensare è un esser pieni di dolore
e di disperazioni dagli occhi plumbei,
dove la Bellezza non può serbare i suoi occhi luminosi,
o il nuovo Amore struggersi per essi più là di domani.

Via! via! perché io voglio fuggire a te,
non tratto sul carro da Bacco e dai suoi leopardi,
ma sulle invisibili ali della Poesia,
benché l’ottuso cervello confonda e ritardi:
già con te! tenera è la notte,
e forse la Regina Luna è sul suo trono,
con a grappoli intorno tutte le sue Fate stellari;
ma qui non c’è luce alcuna,
fuor di quanta dal cielo con le brezze spira
per verdeggianti tenebre e sinuose vie di muschi.

Io non posso vedere quali fiori siano ai miei piedi,
né che molle incenso penda sulle fronde,
ma, nella profumata oscurità, indovino ogni dolcezza
di cui il mese propizio dota
l’erba, il boschetto, e il selvaggio albero da frutta;
il biancospino, e la pastorale eglantina;
viole che presto appassiscono ricoperte di foglie;
e la figliuola maggiore del mezzo maggio,
la veniente rosa muscosa, piena di rugiadoso vino,
mormoreggiante dimora delle mosche nelle sere estive.

All’oscuro io ascolto; e ben molte volte
son io stato a mezzo innamorato della confortevole Morte
e l’ho chiamata con soavi nomi in molte meditate rime
perché si portasse nell’aria il mio tranquillo fiato;
ora più che mai sembra delizioso morire,
aver fine sulla mezzanotte, senza alcun dolore,
mentre tu versi fuori la tua anima intorno
in una tale estasi!
ancora tu canteresti, ed io avrei orecchie invano 
al tuo alto requie divenuto una zolla.

Tu non nascesti per la morte, immortale Uccello!
le affannate generazioni non ti calpestano;
la voce ch’io odo in questa fuggevole notte fu udita
in antichi giorni dall’imperatore e dal villano:
forse la stessa canzone che trovò un sentiero
per il triste cuore di Ruth, quando, piena di nostalgia
ella stette in lagrime tra il grano straniero;
la stessa che spesse volte ha
affascinato magiche finestre, aperte sulla schiuma
di perigliosi mari, in fatate terre abbandonate.

Abbandonate! la parola stessa è come una campana
che rintocchi per ritrarmi da te alla mia solitudine!
Addio! la fantasia non può frodare così bene
com’ella ha fama di fare, ingannevole silfo.
Addio! addio! la tua lamentosa antifona svanisce
oltre i prati vicini, sopra la silenziosa corrente,
su per il fianco del colle; ed ora è sepolta profonda
nelle prossime radure della valle:
fu una visione, o un sogno ad occhi aperti?
fuggita è quella musica: son io desto o dormo?

 

My heart aches, and a drowsy numbness pains 

My sense, as though of hemlock I had drunk,
Or emptied some dull opiate to the drains 
One minute past, and Lethe-wards had sunk:
'Tis not through envy of thy happy lot, 
But being too happy in thine happiness,

That thou, light-winged Dryad of the trees, 
In some melodious plot 
Of beechen green and shadows numberless, 
Singest of summer in full-throated ease.

 

O, for a draught of vintage! that hath been 
Cool'd a long age in the deep-delved earth,
Tasting of Flora and the country green, 
Dance, and Provençal song, and sunburnt mirth!
O for a beaker full of the warm South, 
Full of the true, the blushful Hippocrene, 
With beaded bubbles winking at the brim, 
And purple-stained mouth; 
That I might drink, and leave the world unseen, 
And with thee fade away into the forest dim:

 

Fade far away, dissolve, and quite forget 
What thou among the leaves hast never known,
The weariness, the fever, and the fret 
Here, where men sit and hear each other groan;
Where palsy shakes a few, sad, last gray hairs, 
Where youth grows pale, and spectre-thin, and dies; 
Where but to think is to be full of sorrow 
And leaden-eyed despairs, 
Where Beauty cannot keep her lustrous eyes, 
Or new Love pine at them beyond to-morrow.

 

Away! away! for I will fly to thee, 
Not charioted by Bacchus and his pards,
But on the viewless wings of Poesy, 
Though the dull brain perplexes and retards:
Already with thee! tender is the night, 
And haply the Queen-Moon is on her throne, 
Cluster'd around by all her starry Fays; 
But here there is no light, 

Save what from heaven is with the breezes blown 
Through verdurous glooms and winding mossy ways.

 

I cannot see what flowers are at my feet, 

 

Nor what soft incense hangs upon the boughs,
But, in embalmed darkness, guess each sweet 
Wherewith the seasonable month endows
The grass, the thicket, and the fruit-tree wild; 
White hawthorn, and the pastoral eglantine; 
Fast fading violets cover'd up in leaves; 
And mid-May's eldest child, 
The coming musk-rose, full of dewy wine, 
The murmurous haunt of flies on summer eves.

 

Darkling I listen; and, for many a time 

 

I have been half in love with easeful Death,
Call'd him soft names in many a mused rhyme, 
To take into the air my quiet breath;
Now more than ever seems it rich to die, 
To cease upon the midnight with no pain, 
While thou art pouring forth thy soul abroad 
In such an ecstasy! 
Still wouldst thou sing, and I have ears in vain - 
To thy high requiem become a sod.

 

Thou wast not born for death, immortal Bird! 

 

No hungry generations tread thee down;
The voice I hear this passing night was heard 
In ancient days by emperor and clown:
Perhaps the self-same song that found a path 
Through the sad heart of Ruth, when, sick for home, 
She stood in tears amid the alien corn; 
The same that oft-times hath 
Charm'd magic casements, opening on the foam 
Of perilous seas, in faery lands forlorn.

 

Forlorn! the very word is like a bell 

 

To toll me back from thee to my sole self!
Adieu! the fancy cannot cheat so well 
As she is fam'd to do, deceiving elf.
Adieu! adieu! thy plaintive anthem fades 
Past the near meadows, over the still stream, 
Up the hill-side; and now 'tis buried deep 
In the next valley-glades:

Was it a vision, or a waking dream? 
Fled is that music: - Do I wake or sleep?

JOHN KEATS - Alla speranza

 

Quando solo siedo al mio vecchio focolare,
E odiosi pensieri mi vestono di tristezza,
Quand'anche i sogni vengon a meno all'occhio della mente,
E non ci sono fiori per la nuda brughiera della vita,
Tu, dolce Speranza, profumami di magia:
Sì, portami via sulle tue ali d'argento.

Se, colto dalla notte dove i rami intrecciati
Ecludono il raggio lucente della luna,
Il tetro Sconforto impaurisse i miei pensieri,
E, accigliato fuggisse la dolce Allegria,
Ti prego, un raggio affaccia di luce per lo sconnesso
Tetto di paglia, scaccia lo Sconforto Maledetto.

E se la Delusione, madre dell'Angoscia,
La figlia spingesse a predare il mio cuore sbadato,
Quando, come un nube, sull'aria assisa
S'appresta a colpire la vittima ammaliata,
Tu cacciala via, dolce Speranza, col tuo viso di luce
Spaventala, come la mattina quando terrorizza la notte.

Quando il destino racconta, di quelli che più amo,
Storie di dolore al mio cuore spaventato,
Tu, Speranza, occhi di luce, la mia fantasia
Morbosa rallegra, dammi dolce conforto:
Illuminami di cielo, danza
Sul mio capo con le tue ali d'argento.

E se di genitori crudeli o d'amante spietata
Dovesse mai squarciarmi il petto un amore infelice,
Non lasciare che io possa credere sprecata
La mia poesia, singhiozzata nell'aria notturna.
Tu, dolce Speranza, profumami di magia:
Sì, portami via sulle tue ali d'argento.

E quando guardo la teoria dei raggi futuri,
Fa ch'io non veda l'onore del mio paese svanire:
Conservi l'anima la nostra terra, e la libertà,
L'orgoglio: non voglio, Speranza, fantasmi.
Dai tuoi occhi di luce riversa insolita radianza
E poi coprimi, con le tue ali d'argento.

Stupenda Libertà, grandezza in veste dimessa!
Ch'io non scorga mai quest'alta eredità
Dalla vile porpora della legge oppressa,
La testa chinata, pronta a morire:
Affacciata dal cielo, splendente,
Te, Speranza, con ali d'argento voglio vedere apparire.

Come quando con regalità lucente una stella
Indora la cima chiara d'una nuvola scura
Accendendo il mezzo volto velato del cielo,
Così, se pensieri di tenebra il mio spirito presago
Avvolgono in un sudario, tu dolce Speranza,
Con ali d'argento sul mio capo, spargimi d'azzurro.