Poesie all'Italia

Italia mia, benché ’l parlar sia indarno

a le piaghe mortali

che nel bel corpo tuo sì spesse veggio,

piacemi almen che’ miei sospir’ sian quali

spera ’l Tevero et l’Arno,

e ’l Po, dove doglioso et grave or seggio.

Rettor del cielo, io cheggio

che la pietà che Ti condusse in terra

Ti volga al Tuo dilecto almo paese.

Vedi, Segnor cortese,

di che lievi cagion’ che crudel guerra;

e i cor’, che ’ndura et serra

Marte superbo et fero,

apri Tu, Padre, e ’ntenerisci et snoda;

ivi fa che ’l Tuo vero,

qual io mi sia, per la mia lingua s’oda.

 

F. PETRARCA, Italia mia. Canzoniere 128.

 

O patria mia, vedo le mura e gli archi

E le colonne e i simulacri e l’erme

Torri degli avi nostri,

Ma la la gloria non vedo,

Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi

I nostri padri antichi.

Or fatta inerme

Nuda la fronte e nudo il petto mostri,

Oimè quante ferite,

Che lívidor, che sangue! oh qual ti veggio,

Formosissima donna!

 

G. LEOPARDI, CANTI.

1821 – Alessandro Manzoni

 

Soffermàti sull’arida sponda,

vòlti i guardi al varcato Ticino,

tutti assorti nel nuovo destino,

certi in cor dell’antica virtù,

han giurato: Non fia che quest’onda

scorra più tra due rive straniere;

non fia loco ove sorgan barriere

tra l’Italia e l’Italia, mai più!

 

L’han giurato: altri forti a quel giuro

rispondean da fraterne contrade

affilando nell’ombra le spade

che or levate scintillano al sol.

Già le destre hanno strette le destre;

già le sacre parole son porte:

o compagni sul letto di morte,

o fratelli su libero suol.

 

Chi potrà della gemina Dora,

della Bormida al Tanaro sposa,

del Ticino e dell’Orba selvosa

scerner l’onde confuse nel Po;

chi stornargli del rapido Mella

e dell’Oglio le miste correnti,

chi ritogliergli i mille torrenti

che la foce dell’Adda versò,

 

quello ancora una gente risorta

e a ritroso degli anni e dei fati,

risospingerla ai prischi dolor:

una gente che libera tutta,

o fia serva tra l’Alpe ed il mare;

una d’arme, di lingua, d’altare,

di memorie, di sangue e di cor.

 

Con quel volto sfidato e dimesso,

con quel guardo atterrato ed incerto,

con che stassi un mendico sofferto

per mercede nel suolo stranier,

star doveva in sua terra il Lombardo;

l’altrui voglia era legge per lui;

il suo fato, un segreto d’altrui;

la sua parte servire e tacer.

Sono un poeta

un grido unanime

sono un grumo di sogni.

Sono un frutto

d’innumerevoli contrasti d’innesti

maturato in una serra.

Ma il tuo popolo è portato

dalla stessa terra

che mi porta

Italia.

E in questa uniforme

di tuo soldato

mi riposo

come fosse la culla

di mio padre

 

GIUSEPPE UNGARETTI, Vita d'un uomo. Tutte le poesie, Mondadori Milano 1969

Più i giorni s’allontanano dispersi

e più ritornano nel cuore dei poeti.

Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno

con le colline di cadaveri che bruciano

in nuvole di nafta, là i reticolati

per la quarantena d’Israele,

il sangue tra i rifiuti, l’esantema torrido,

le catene di poveri già morti da gran tempo

e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,

là Buchenwald, la mite selva di faggi,

i suoi forni maledetti; là Stalingrado,

e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.

I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,

dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!

Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.

Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,

e io canto il suo popolo, e anche il pianto

coperto dal rumore del suo mare,

il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.

SALVATORE QUASIMODO - Il mio paese è l'Italia

Dal tempo della tua nascita

sono in ginocchio, mia volpe

E' da quel giorno che sento

vinto il male, espiate le mie colpe

 

Arse a lungo una vampa; sul tuo tetto,

sul mio, vidi l'orrore traboccare

 

Resto in ginocchio: il dono che sognavo

non per me ma per tutti

appartiene a  me solo, Dio diviso

dagli uomini, dal sangue raggrumato

sui rami alti, sui frutti.

EUGENIO MONTALE - Anniversario

III
Uno straccetto rosso, come quello
arrotolato al collo ai partigiani
e, presso l'urna, sul terreno cereo,
 
diversamente rossi, due gerani.
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei
 
morti: Le ceneri di Gramsci... Tra
speranza
e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato
per caso in questa magra serra, innanzi
 
alla tua tomba, al tuo spirito restato
quaggiù tra questi liberi. (O è qualcosa
di diverso, forse, di più estasiato
 
e anche di più umile, ebbra simbiosi
d'adolescente di sesso con morte...)
E, da questo paese in cui non ebbe posa
 
la tua tensione, sento quale torto
- qui nella quiete delle tombe - e insieme
quale ragione - nell'inquieta sorte
 
nostra - tu avessi stilando le supreme
pagine nei giorni del tuo assassinio.
Ecco qui ad attestare il seme
 
non ancora disperso dell'antico dominio,
questi morti attaccati a un possesso
che affonda nei secoli il suo abominio
 
e la sua grandezza: e insieme, ossesso,
quel vibrare d'incudini, in sordina,
soffocato e accorante - dal dimesso
 
rione - ad attestarne la fine.
Ed ecco qui me stesso... povero, vestito
dei panni che i poveri adocchiano in
vetrine
 
dal rozzo splendore, e che ha smarrito
la sporcizia delle più sperdute strade,
delle panche dei tram, da cui stranito
 
è il mio giorno: mentre sempre più rade
ho di queste vacanze, nel tormento
del mantenermi in vita; e se mi accade
 
di amare il mondo non è che per violento
e ingenuo amore sensuale
così come, confuso adolescente, un tempo
 
l'odiai, se in esso mi feriva il male
borghese di me borghese: e ora, scisso
- con te - il mondo, oggetto non appare
 
di rancore e quasi di mistico
disprezzo, la parte che ne ha il potere?
Eppure senza il tuo rigore, sussisto
 
perché non scelgo. Vivo nel non volere
del tramontato dopoguerra: amando
il mondo che odio - nella sua miseria
 
sprezzante e perso - per un oscuro
scandalo
della coscienza...
PIER PAOLO PASOLINI - Le ceneri di Gramsci (III strofa)

Muore ignominiosamente la repubblica di Mario Luzi

Muore ignominiosamente la repubblica.

Ignominiosamente la spiano

i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti.

Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto.

Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani,

si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi sciacalli.

Tutto accade ignominiosamente, tutto

meno la morte medesima — cerco di farmi intendere

dinanzi a non so che tribunale

di che sognata equità. E l’udienza è tolta.

MARIO LUZI - Muore ignominiosamente la repubblica

 

Svetta ancora allo svolto la vecchia pianta

e improvvisa brulica al vento.

Lampi di caldo, presagi,

parvenze forse s’incarnano nell’intima bruma.

Ma nessuno

ne sa niente.

Vittorio Sereni - LA REPUBBLICA. Gli strumenti umani, 1965