Lo svantaggio nella scuola

La scuola può creare svantaggio

 

Negli anni Sessanta la Lettera a una professoressa di don Milani rappresentò una vera e propria denuncia del fenomeno. Nel 1966 la Commissione Americana dell’Educazione pubblicò i risultati di un’indagine su L’uguaglianza delle opportunità educative. Varie inchieste di tipo sociologico evidenziarono che le cause della diversità e variazione del successo scolastico vanno ricercate, oltre che nei fattori biologici, nell’ambiente socioculturale, nella famiglia e nell’istituzione scolastica. Si affermò il concetto di “svantaggio sociale”, che è determinato sia dalla deprivazione culturale (condizione determinata da tutti i fattori socio-ambientali in cui il ragazzo non riceve dall’ambiente sufficienti stimolazioni ad un grado elevato di elaborazione) sia dall’insuccesso scolastico.

Lo svantaggio scolastico

 

Secondo Passow “un ragazzo è svantaggiato se, per caratteristiche sociali e culturali (classe sociale, deprivazioni culturali e linguistiche, origine etnica, povertà ecc.) entra nel sistema scolastico con conoscenze ed abilità che gli ostacolano l'apprendimento e contribuiscono a creare un deficit accademico cumulativo. Lo svantaggio può persistere per tutta la vita scolastica e contribuire a restringere successive opportunità economiche e sociali”.

Secondo Valeria Attinà non tutti i ragazzi che crescono in condizioni socio-culturali sfavorevoli diventano degli svantaggiati: a volte il desiderio di emanciparsi da quella classe sociale diventa uno stimolo a cercare nell’impegno scolastico una possibilità di riscatto.

È prevalsa nella pedagogia dell’epoca la teoria dei deficit cumulativi, ossia la convinzione che la deprivazione culturale menomasse le abilità di base del bambino: egli non riuscirebbe a compiere apprendimenti semplici, basilari per costruire quelli più complessi.

Gli studi più recenti seguono un orientamento ben diverso: a tutti i bambini possono e debbono essere proposti stimoli adeguati, puché si riesca a comunicare con lui nella "sua" lingua, utilizzando e condividendo i suoi codici linguistici. Inoltre, non si farà ricorso esclusivamente alla parola (orale e scritta), ma si utilizzeranno immagini (disegni, raffigurazioni, disegni animati) e tutte le opportunità offerte dai new media.

Secondo Luccio è sterile ridurre il problema dello svantaggio a un deficit cognitivo: il bambino svantaggiato non è privo di abilità cognitive, ma le utilizza in modo molto diverso rispetto agli altri bambini; inoltre parla una lingua diversa da quella “standard”.

Vico definisce l’adattamento come una relazione dinamica e reciproca tra individuo e ambiente; conseguentemente il disadattamento è il deterioramento di questa omeostasi. Il ragazzo svantaggiato non presenta caratteri di disadattamento, ma soltanto carenze (di apprendimento e non di capacità di apprendere).

Secondo Petracchi il ragazzo di strato sociale inferiore ha gravi difficoltà di sopravvivenza scolastica perché deve compiere sforzi innaturali di adattamento ai modelli culturali e cognitivi offerti dalla scuola, che sono estranei alla cultura nella quale si è formato. Dagli insuccessi scolastici deriva il disadattamento. La scuola tradizionale pretende di realizzare un’uguaglianza educativa proponendo opportunità uguali per tutti e programmi di educazione compensatoria affinché acquisisca le abilità di base carenti. Ma questi programmi hanno sortito un totale fallimento. Occorre invece una scuola nuova, in grado di offrire una formazione adeguata alle esigenze di ciascun alunno.

Nella Premessa ai Programmi per la scuola elementare del 1985 si legge: “La condizione di svantaggio è legata a carenze familiari ed affettive, a situazioni di disagio economico e sociale, a divari culturali e linguistici dovuti a scarsità di stimolazioni intellettuali”: si insiste sull’influenza dei fattori sociali sui processi di sviluppo del bambino.

I Programmi sottolineano la funzione referenziale della lingua, considerata un veicolo per esprimere in modo più articolato l’esperienza razionale ed affettiva. L’insegnamento linguistico deve assumere carattere di iniziale concretezza offrendo esperienze plurime e diversificate, sollecitare l’attenzione del bambino sui vari aspetti del reale; per diventare sempre più rappresentativa, facendo tradurre le esperienze in simboli linguistici.

La scuola deve offrire un linguaggio ricco e significante, far usare il codice verbale senza trascurare altri codici (grafico, pittorico, plastico, ritmico, musicale e gestuale), che non sono antagonisti di quello verbale ma complementari ad esso. Oltre al simbolo verbale (la parola) vi sono il gesto, l’immagine, l’atteggiamento del corpo, il simbolo matematico. La scuola deve valorizzare la capacità dei bambini svantaggiati di utilizzare codici diversi da quello verbale, impegnandoli in traduzioni da un codice all’altro (ad esempio tradurre una frase in un disegno, una storia in un fumetto) estrapolando dal testo gli elementi significativi attraverso operazioni di analisi e sintesi. Si partirà dal dialetto, inteso come lingua di base, per far conoscere ed utilizzare la lingua italiana.

La produzione orale presenta diversi livelli: colloquiale/informale, elaborato/formale. I bambini devono imparare ad usare il codice più adeguato ai contesti e alle situazioni: è ugualmente sbagliato utilizzare un linguaggio colloquiale e confidenziale con un adulto che non si conosce o ricorrere al linguaggio formale per conversare di sport con i compagni.

L’insegnante diventa sempre più animatore, in grado di attivare il dialogo con i bambini e fra i bambini, capace di entrare nel vivo dello scambio comunicativo. Egli deve evitare atteggiamenti permissivi che consentono il disordine e la sopraffazione, ma anche atteggiamenti autoritari, che inibiscono o inducono il timore di parlare. Deve favorire la logica dialogica, basata sul rispetto dei ruoli, l’alternanza, l’attenzione partecipativa e la capacità di ascoltare gli altri e tener conto di ciò che dicono nella risposta. Deve smuovere il disinteresse del bambino per la cultura e per la scuola e far emergere la motivazione intrinseca all’apprendimento.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

VALERIA ATTINA’ - Il problema dello svantaggio sociale e la funzione dell’educazione linguistica nella scuola elementare, in G. ACONE – Aspetti e problemi della psicologia contemporanea, SEAM 2000, pp. 445 - 471.