Leggende orientali

La storia del principe Calaf e della principessa Turandot

 

Calaf era il figlio del Khan dei Tartari. Era bellissimo, intelligente, coraggioso ed erudito. 

Un giorno alla Corte del Khan si presentò un ambasciatore del re dei Khoresmi, il quale pretendeva per il suo padrone il versamento di un'imposta annuale, altrimenti li avrebbe combattuti con un esercito di duecentomila uomini.  Il Khan riunì  il suo Consiglio e Calaf, con la maggioranza degli uomini del Consiglio, decise di ignorare le minacce ricevute.

 

Altri popoli vicini furono convinti a unirsi al Khan contro il sultano dei Khoresmi, il quale avrebbe potuto richiedere tributi anche da loro. Le trattative ebbero successo. Fu promesso al Khan un esercito di cinquantamila uomini.

I due eserciti si scontrarono in una battaglia durissima.

Tra gli alleati del Kha ci fu un traditore, che si ritirò dalla battaglia, indebolendo l'esercito del Khan.

I Khoresmi attaccarono con grande violenza. Calaf fu costretto a guidare una schiera di cavalieri, per sfuggire al  loro inseguimento.

Timur, il Khan dei tartari, per non cadere nelle mani del sultano, prese la moglie Elmase e il principe Calaf, raccolse i suoi tesori più preziosi e abbandonò la sua terra, con i funzionari della corte e i cavalieri rimasti liberi, con l'intento di cercare rifugio presso qualche principe regnante. Durante il viaggio furono assaliti da quattromila brigant, che si avventarono contro di loro.

 Calaf combatté coraggiosamente, ma gli assalitori si impossessarono di tutte le loro ricchezze, lasciando il Khan, sua moglie e Calaf quasi nudi in mezzo alle montagne. Calaf trovò la forza di sopportare quel crudele destino e si affidò a Maometto e al Corano.

Fiduciosi, i tre si rimisero in cammino. Riuscirono a raggiungere una pianura ricca di vegetazione, frutti e acua.

Si fermarono per riposare e in seguito giunsero ad una grande città, Chaik, retta dal re Ileng Khan.

Un vecchio riferì loro che un ambasciatore dei Khoresmi aveva chiesto al re di non dare asilo al Khan, ma di arrestarli subito. Consigliò loro di lasciare il paese e di  raggiungere la regione dove abita la tribù dei Berla.»

Il vecchio diede loro tre cavalli e ricche provviste, una borsa piena di denaro e disse loro di fuggire al più presto.

Calaf fu costretto a chiedere l'elemosina ai passanti. Stanco, si addormentò. Fu svegliato da un falco di straordinaria bellezza, adorno di catene d'oro e brillanti. Calaf comprese che l'uccello appartenesse al Khan dei Berla e decise di restituirlo al re, che lo aveva cercato invano.

 

Il Khan gli disse di aver promesso tre grazie a chiunque gli restituisse il suo falco. Chiese a Calaf di esprimere i suoi desideri. 

Il principe chiese vitto e alloggio per i suoi genitori, un puledro per sé e un abito sontuoso con una borsa piena di denaro.

Ottenuta la sicurezza per i genitori, chiese loro il permesso di partire per la Cina, per meritare l'amicizia dell'imperatore.

«Vai, figlio mio» rispose Timur «vai incontro al tuo destino.» Il giovane principe abbracciò il padre e la madre e al galoppo si diresse verso la Cina.

Giunto a Pechino, incontrò un'anziana vedova, a cui chiese ospitalità per sé e una stalla per il cavallo. La vedova gli riferì che l'imperatore, a cui non mancava nulla per essere felice, era infelice perché che non aveva avuto un erede maschio, ma una sola figlia bellissima, Turandot, molto colta e intelligente, ma terribilmente crudele. Pretese dal padre che nessun pretendente potesse chiedere la sua mano se non avesse risposto correttamente alle sue domande. Chi rispondeva correttamente sarebbe stato il suo soso, ma chi sbagliava doveva essere decapitato. Dichiarò che odiava gli uomini, che non voleva sposarsi e che nessun giovane avrebbe saputo rispondere alle sue domande. Se il padre non avesse accettato la sua richiesta, si sarebbe uccisa lei.

«Altun-Khan accettò e  fece annunciare pubblicamente la decisione di Turandot.

Molti principi , convinti di essere così intelligenti da saper rispondere alle sue domande, si fecero avanti, ma finirono tutti decapitati.

Calaf assistette alla decapitazione del principe di Samarcanda, accompagnato dal suo precettore, che gli consegnò un ritratto di Turandot. Calaf afferrò il ritratto della principessa. Aspettò che sorgesse il sole per vedere il ritratto della terribile Turandot e ne rimase incantato.

Tornò a casa della vedova, deciso a chiedere la mano di Turandot. 

La povera donna cominciò a piangere, temendo per la vita del giovane, che però era convinto di saper rispondere a tutte le domande di Turandot.

Si recò dal re, che cercò di scoraggiarlo, ma inutilmente.

A palazzo,  fecero il loro ingresso il re con la principessa Turandot, che indossava una lunga veste di seta intessuta d'oro e aveva il volto coperto da un velo anch'esso intessuto d'oro.

«Bella principessa» rispose il principe «poni le tue domande e io cercherò di decifrarne il significato.»

«Allora dimmi» cominciò Turandot «qual è la creatura che abita in tutti i paesi, che è amica di tutti e non tollera alcuno uguale a sé?» 

 

«Principessa» rispose Calaf «è il sole.»

«Ha ragione» esclamarono tutti i sapienti «è il sole.»

«Chi è la madre» proseguì Turandot «che mette al mondo i suoi figli e poi li divora tutti quando sono cresciuti?»

«E il mare» rispose Calaf «poiché le correnti che si riversano nel mare, lì hanno anche la loro origine.»

Quando Turandot vide che il principe rispondeva nella giusta maniera alle sue domande, si irritò terribilmente, tanto che decise di rovinarlo.

«Qual è l'albero» gli domandò «le cui foglie sono bianche da un lato e nere dall'altro?»

«Quest'albero» rispose Calaf «è l'anno, che è fatto di giorni e notti.»

Anche questa risposta trovò il consenso dell'assemblea; mandarini e dottori la dichiararono esatta e furono pieni di lodi per il principe. Infine parlò Altun-Khan: «Ora, figlia mia, riconosciti vinta e consenti ad andare sposa al vincitore. Gli altri pretendenti non hanno saputo rispondere a una sola domanda».

«Non mi ha ancora vinto» replicò la principessa, la quale disse che gli avrebbe posto altre domande l'indomani. Il re non lo permise, ma Calaf si disse disposto a rinunciare al suo diritto su di lei, alla condizione che anche lei rispondesse in modo giusto a una domanda che lui le avrebbe rivolto. Se la principessa avesse sbagliato, avrebbe dovuto accettare il suo amore e la sua mano.

le voglio fare».

La principessa accettò la condizione.

La domanda di Calaf fu: «come si chiama il principe che ha sopportato mille sofferenze e ha dovuto mendicare il suo pane e che in questo momento si trova all'apice della gloria e della gioia?»

La principessa chiese un giorno di tempo per rispondere e si ritirò con due giovani schiave nei suoi appartamenti, si infuriò terribilmente. Mandò una schiava da Calaf per carpire subdolamente ilsuo nome e Calaf le disse come si chiamava.

La mattina si udì il suono delle campane e Calaf giunse a corte.

Calaf ripeté nuovamente la domanda e Turandot rispose: «Questo principe si chiama Calaf ed è il figlio di Timur.» E continuò: «Io ora posso rifiutarvi la mia mano. Invece dichiaro pubblicamente di prendervi come sposo.»

A quelle parole nella sala risuonò un grande grido di gioia e il re abbracciò la principessa e le disse: «Figlia mia, non potevi prendere una decisione che fosse più cara al mio cuore. Così si celebrarono, con straordinaria pompa, le nozze di Turandot con il principe Calaf. A corte arrivarono i genitori di Calaf, che furono accolti degnamente dall'imperatore della Cina.