LETTERATURA ITALIANA E STRANIERA

 

"La solitudine dei numeri primi" di PAOLO GIORDAN

"La voce del tuono" di WILBUR SMITH

"Non ti muovere" di MARGARET MAZZANTINI

"Cent'anni di solitudine" di GABRIEL GARCIA MARQUEZ

"Jane Eyre" di CHARLOTTE BRONTE

"Il ritratto di Dorian Gray" di OSCAR WILDE

"Sotto gli occhi dell'Occidente" di JOSEPH CONRAD

"Il dottor Zivago" di BORIS PASTERNAK

"Il deserto dei Tartari" di DINO BUZZATI 

 

PAOLO GIORDANO - La solitudine dei numeri primi

 

I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospetti e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi (...)

In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l'11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 42. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato, fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l'uno all'altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finché non li si scopre.

Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e sperduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero. A lei non l'aveva mai detto. Quando immaginava di confessarle queste cose, il sottile strato di sudore sulle sue mani evaporava del tutto e per dieci minuti buoni non era più in grado di toccare nessun oggetto.

La solitudine dei numeri primi, Oscar Mondadori Milano 2008, pp. 129-130.

WILBUR SMITH - "La voce del tuono"

 

Aiutare gli altri anche quando si ha paura per la propria incolumità.

 

"Lascialo", urlava a Sean il suo terrore. "Lascialo. Corri!Corri!"

Saul strisciava verso di lui, con la faccia coperta di sangue e gli occhi fissi sul suo volto. "Sean!"

"Lascialo!Lascialo!

Ma c'era speranza su quel pietoso viso insanguinato, e le dita di Saul artigliavano l'erba fino alle radici, mentre si trascinava in avanti.

Era al di là di ogni bragionevolezza. Ma Sean tornò indietro.

Spronato dal terrore, trovò la forza di sollevare Saul e di correre con lui.

Odiandolo come non aveva mai odiato prima, Sean trasportò barcollando il compagno verso il fosso di drenaggio. La tensione nervosa rallentava il ritmo del tempo e gli parve di correre per un'eternità. "Maledetto" disse a Saul, odiandolo...Poi il terreno gli mancò sotto i piedi. Caddero insieme nel fossato...

"Grazie, Sean". Improvvisamente Courteney si accorse che gli occhi del compagno erano pieni di lacrime e la cosa lo imbarazzò. Distolse lo sguardo.

"Grazie...per essere tornato a prendermi".

WILBUR SMITH - La voce del tuono, Superpocket 2010 su licenza Longanesi, Milano, pp.119-121

Non ti muovere - MARGARET MAZZANTINI

 

Tua madre parte, un viaggio di lavoro di un paio di giorni, una boccata di tempo per me. Sta sistemando le ultime cose nella valigia, quella del viaggio di nozze, di camoscio maculato. Il suo braccio mi sfiora mentre cerca un foulard nell'armadio a più ante che riempie tutta la parete. Indossa un tailleur pantalone con un collo sciallato, di un morbido jersey color noce moscata, e una collana molto semplice, fatta di grossi grani di ambra trattenuti da un filo di raso nero. Prendo una camicia, io ho solo camicie bianche, e completi con la cravatta girata intorno alla stampella, così non sbaglio. Elsa qualche volta mi ha spinto a osare, almeno con un cappello. C'è un suo amico, uno scrittore berlinese, che sfoggia baschi, zuccotti, panama, feluche, a lui stanno bene, è eccentrico, bisessuale, intelligentissimo. Lo scrittore berlinese l'avrebbe sicuramente resa più felice. Magari s'incontrano in qualche caffé letterario, lui posa il suo sombrero o il suo colbacco sulla sedia, le legge i suoi scritti, lei si emoziona. Sì, è matura al punto giusto, borhese al punto giusto, per un amante bisessuale. Avere una donna così elegante accanto mi ha sempre riempito di orgoglio. Oggi invece la sua eleganza mi rende triste. L'ennesimo travestimento...

Non voglio stare solo, voglio stare con Italia e se non avessi incontrato lei probabilmente non avrei trovato una sola ragione valida per separarmi da Elsa. Non ho nulla da rimproverarle o forse troppo. Non la amo più e forse non l'ho mai amata davvero, sono stato sedotto da lei. Ho subito la sua tirannia, a tratti estasiato, a tratti intimorito, e infine con sommessa fatica. se la guardo attentamente adesso, tanto lei non si accorge di me, sta facendo l'inventario dei cosmetici nel beauty-case, se la guardo adesso, che ha uno sguardo fisso e ottuso, la mascella rilassata, adesso penso: Che ci fa questa donna qui? Che c'entra lei con me?

Non ti muovere, I libri del Corriere della sera, Milano 2006, pp. 141-142- 

GABRIEL GARCIA MARQUEZ - Cent'anni di solitudine
Allora cominciò il vento, tiepido, incipiente, pieno di voci del passato, di mormorii di gerani antichi, di sospiri di delusioni anteriori alle nostalgie più tenaci. Non se ne accorse perché in quel momento stava scoprendo i primi indizi del suo essere, in un nonno concupiscente che si lasciava trascinare dalla frivolità attraverso un altipiano allucinato, in cerca di una donna bella che non lo avrebbe fatto felice. Aureliano lo riconobbe, incalzò i sentieri occulti della sua discendenza, e trovò l'istante del suo stesso concepimento tra gli scorpioni e le farfalle gialle di un bagno crepuscolare, dove un avventizio saziava la sua lussuria con una donna che gli si dava per ribellione.
Era cosí assorto, che non sentì nemmeno il secondo assalto del vento, la cui potenza ciclonica strappò dai cardini le porte e le finestre, svelse il tetto dell'ala orientale e sradicò le fondamenta.
Soltanto allora scoprì che Amaranta Ursula non era sua sorella, ma sua zia, e che Francis Drake aveva assaltato Riohacha soltanto perché loro potessero cercarsi per i labirinti più intricati del sangue, fino a generare l'animale mitologico che avrebbe posto termine alla stirpe. Macondo era già un pauroso vortice di polvere e macerie, centrifugato dalla collera dell'uragano biblico, quando Aureliano saltò undici pagine per non perder tempo con fatti fin troppo noti, e cominciò a decifrare l'istante che stava vivendo, e lo decifrava a mano a mano che lo viveva, profetizzando sé stesso nell'atto di decifrare l'ultima pagina delle pergamene, come se si stesse vedendo in uno specchio parlante. Allora saltò oltre per precorrere le predizioni e appurare la data e le circostanze della sua morte. 
JOSEPH CONRAD - Sotto gli occhi dell'Occidente
"Un atto di coscienza dev'essere compiuto con una certa dignità esteriore. Egli sentiva disperatamente il bisogno d'una parola di consiglio, d'un appoggio morale. Chi sa che cos'è la vera solitudine... non la parola convenzionale, ma il puro terrore? Ai solitari stessi essa è mascherata; e il più miserabile proscritto stende le braccia verso qualche memoria o qualche illusione. Oggi o domani, una fatale coincidenza di fatti può sollevare il velo un momento ... ma un momento soltanto, poiché nessun essere umano potrebbe sopportare la vista costante della solitudine morale, senza impazzire".

CHARLOTTE BRONTE - JANE EYRE

  

La casa, vista di faccia, aveva due torrette nel centro; le finestre erano strette e munite d'inferriate, la porta era pure angusta e vi si saliva con uno scalino.

Era proprio, come aveva detto l'oste, un luogo desolato e silenzioso come una tomba.

Il rumore della pioggia che batteva sulle foglie era il solo rumore che si udisse.

— Ci può essere vita qui? — domandai.

Sì, vi era una specie di vita, perché udii un rumore, l'angusta porta si aprì lentamente e una figura comparve su quella.

Era un uomo, senza cappello, e stese la mano come per sentire se piovesse.

Nonostante l'oscurità lo riconobbi: era il mio padrone, Edoardo Rochester.

Mi fermai, trattenni il respiro e mi diedi a esaminarlo senza essere veduta, ahimè! senza poterlo essere.

Quell'incontro improvviso e l'ebrezza erano amareggiati dalla vista di lui.

Non dovetti far forza a me stessa per trattenere la voce e il passo.

La figura era egualmente vigorosa, il portamento eretto e i capelli neri; neppure i suoi tratti erano abbattuti.

Un anno di dolore non aveva potuto distruggere la forza atletica né la vigorosa giovinezza del signor Rochester; ma quale cambiamento nell'espressione!

II suo volto disperato e irrequieto mi fece pensare agli uccelli da preda, che sono così pericolosi per chi li avvicina quando manca loro la libertà.

 

OSCAR WILDE - IL RITRATTO DI DORIAN GRAY 

Capitolo undicesimo

 

Per molti anni Dorian Gray non poté liberarsi dall'influenza di quel libro, e forse sarebbe più giusto dire che non cercò mai di liberarsene. Fece venire da Parigi non meno di nove esemplari non rilegati della prima edizione e li fece rilegare in colori diversi, così che potessero accordarsi con i suoi vari stati d'animo e con le mutevoli fantasie di una natura sulla quale, a volte, sembrava che lui stesso avesse perso ogni controllo.

L'eroe, quel meraviglioso giovane parigino nel quale il temperamento romantico e quello scientifico erano così stranamente mischiati, diventò per lui quasi una prefigurazione di se stesso; e davvero il libro gli sembrava che contenesse la storia della sua vita scritta prima che lui l'avesse vissuta.

In un punto però egli era più fortunato del fantastico eroe di quel romanzo. Egli non conobbe mai, anzi, non ebbe mai motivo di conoscere, quel terrore un po' grottesco degli specchi, delle superfici metalliche lucide, delle acque immobili, dal quale il giovane parigino fu colto tanto presto nella sua vita, dovuto all'improvviso disfacimento di una bellezza che un tempo, a quanto pare, era stata eccezionale. Con una gioia quasi crudele- e forse un po' di crudeltà entra in quasi tutte le gioie, come entra sicuramente in ogni piacere - leggeva l'ultima parte del libro, con la sua descrizione davvero tragica, anche se un po' troppo accentuata, dell'angoscia e della disperazione di un uomo che aveva perso quello che, negli altri e nel mondo, aveva apprezzato di più.

Dato che quella bellezza meravigliosa, che aveva tanto affascinato Basil Hallward e molti altri con lui, sembrava non dovesse mai abbandonarlo. Nemmeno quelli che avevano sentito dire le cose più gravi sul suo conto, poiché ogni tanto si diffondevano per Londra strane voci sul suo modo di vivere e diventavano l'argomento dei pettegolezzi dei circoli, potevano credere di lui, quando lo vedevano, niente di disonorante.

 

BORIS PASTERNAK Il dottor Zivago
E' una malattia di questi ultimi tempi. Credo che le cause siano d'origine morale. Alla gran maggioranza di noi si richiede un'ipocrisia costante, eretta a sistema. Ma non si può, senza conseguenze, mostrarsi ogni giorno diversi da quello che ci si sente: sacrificarsi per ciò che non si ama, rallegrarsi di ciò che ci rende infelici. Il sistema nervoso non è un vuoto suono o un'invenzione. La nostra anima occupa un posto nello spazio e sta dentro di noi come i denti nella bocca. Non si può impunemente violentarla all'infinito.

DINO BUZZATI

 

Il deserto dei Tartari 

 

Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione.

Si fece svegliare ch'era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò nello specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c'era un grande silenzio , si udivano solo i piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo.

Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide all'Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l'incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni uno ad uno, che sembrava non finissero mai.

Adesso era finalmente ufficiale, non aveva più dai consumarsi sui libri nè tremare alla voce del sergente, eppure tutto questo era passato. Tutti quei giorni, che gli erano sembrati odiosi, si erano ormai consumati per sempre, formando mesi ed anni che non si sarebbero ripetuti mai.

Sì adesso egli era ufficiale, avrebbe avuto soldi, le belle donne lo avrebbero forse guardato, ma in fondo - si accorse Giovanni Drogo - il tempo migliore, la prima giovinezza, era probabilmente finito. Così Drogo fissava lo specchio, vedeva uno stentato sorriso sul proprio volto, che invano aveva cercato di amare.