FIABE, NOVELLE E LEGGENDE SICILIANE

Si racconta

La leggenda della fontana di Aretusa

La leggenda di Aci e Galatea

Tredicino

La leggenda del gigante Tifeo

La leggenda di Glauco e Circe

La storia di Colapesce 

Il pappagallo che racconta tre storie

Il clima della Sicilia

La fata Morgana

Si racconta 

Si racconta di un povero padre con tre figli, che possedeva soltanto un asino. Egli fede testamento: al primo lasciò l’asino; al secondo lasciò il basto; all’ultimo promise la cintura.  Il figlio che aveva avuto l’asino si recò in un paese vicino per venderlo; trovò un mercante che gli promise di comprare l’asino se gli avesse raccontato un racconto senza dire “si racconta”. Il ragazzo accettò e, dopo tre giorni, si recò da lui con l’asino per dirgli il racconto. Cominciò a dire: “Si racconta… ma il mercante lo zittì, gli disse che aveva perso la scommessa, si prese l’asino e lo mandò via senza nulla.

Anche il secondo fratello si recò dal mercante per vendergli il basto. Il mercante accettò di comprarlo purché gli dicesse un racconto senza dire “si racconta”. Anche il secondo fratello sbagliò e iniziò a dire “si racconta”. Il mercante si arrabbiò, gli disse che aveva perso la scommessa e si prese il basto senza dargli niente in cambio.

Arrivò il terzo fratello, pattuì la vendita della cintura e un racconto, col patto di non dire “si racconta”. Il ragazzo cominciò a raccontare: “Mia madre aveva una chioccia e la mise a covare ventuno uova. Tra i ventuno scovò un galletto. Questo galletto si mise a cantare: “Vai fuori, mercante; la bottega è mia”. Poiché non aveva perso la scommessa, il mercante dovette lasciargli tutta la mercanzia. Cosi il figlio più piccolo tornò a casa del padre  ricco e felice. 

 

La leggenda della fonte di Aretusa (Sicilia)

 

Aretusa era una delle ninfe che vivevano nell'Acaia (Grecia). Aretusa era una ninfa molto bella, ma non se ne vantava: non era né superba né vanitosa; Aveva soggezione dei troppi complimenti che riceveva ed era insoddisfatta di questa bellezza che attirava troppo i giovani.

Un giorno, dopo aver attraversato un bosco mentre era accaldata, vide un fiume così trasparente, che sul suo fondo si potevano ammirare e contare i sassolini. Stanca e accaldata, decise di bagnarsi in quel fiume all’apparenza così rinfrescante, Appese le sue vesti a un ramo di un salice piangente e si tuffò felice tra le sue acque.

Mentre nuotava, le sembrò di sentire un voce, quasi un bisbiglio, che l spaventò. Corse a riva senza neanche rivestirsi. La voce che aveva sentito era quella del fiume Alfeo, nelle ci acque aveva creduto di potersi rinfrescare. Il fiume assunse sembianze umane ed inseguì la spaventata ninfa, tutta nuda, che corse tanto e, temendo di poter essere raggiunta, chiese

aiuto alla dea Diana, la quale la coprì con una nube.

Alfeo continuò a inseguire la nube e la spaventò a tal punto che Aretusa era ormai tutta un bagno di sudore e si era trasformata in acqua. Ciò non scoraggiò Alfeo innamorato, che rinunciò all’aspetto umano e tornò fiume per potersi congiungere alla ninfa, mescolando le loro acque. Allora la dea fece sprofondare il terreno sotto i piedi di Aretusa, fino a una caverna sotterranea, dove Aretusa, ormai diventata acqua, giunse fino ad Ortigia, dove salì in superficie e divenne una fonte.

 

La leggenda del gigante Tifeo

 

Secondo la leggenda, la Sicilia è sorretta dal gigante Tifeo, il quale fu condannato a sottoporsi perennemente a questa pena perché aveva osato tentare di impadronirsi della sede del cielo.

L'isola fu costruita sul suo corpo, che presenta una posizione supina: sulla sua mano destra è collocata Peloro (Messina), sopra la sinistra Pachino, sulle gambe c'è Lilibeo (Trapani), mentre il vulcano Etna incombe sulla sua testa.

Costretto a restare sul fondo senza potersi muovere, Tifeo, rabbioso, ci muove e si agita, cerca di trovare una posizione più comoda e di scrollarsi di dosso montagne e città. In questo modo Tifeo provoca i terremoti.

La leggenda di Aci e Galatea

 

Aci, figlio di Fauno e di una ninfa del Simeto, si innamorò perdutamente della ninfa Galatea, la quale era amata anche dal Ciclope Polifemo, il quale era solito lanciare massi contro le navi che passavano lungo la sua costa.

Per amore di Galatea, Polifemo aveva smesso di lanciare massi,, ma Galatea, che amava Aci,  non ne apprezzò lo sforzo e continuò ad amare Aci. Temendo le ire del gigante Polifemo, gli nascose la verità sul suo amore per Aci. I due, costretti a vedersi di nascosto,  si incontravano nel bosco, nel  punto più lontano dalla residenza di Polifemo.

Un giorno, il Ciclope, desideroso di vedere la bella Galatea, la cercò nel bosco e la vide abbracciata ad Aci. Arrabbiatissimo, si mise a lanciare grossi massi contro il povero Aci, che subito si diede alla fuga, ma inutilmente. Galatea, disperata per la morte di Aci, gridò e pianse tanto che gli dei, impietositi. trasformarono il sangue di Aci in un  fiume.

Tredicino

 

 

In un paesino siciliano viveva una un onesto lavoratore, la moglie che svolgeva tutti i lavori di casa e dell’orto e tanti figli. La famiglia era molto povera, nonostante l’impegno dei genitori. L’ultimo dei 13 figli si chiamava Tredicino. I bambini erano tutti belli, sani ed educati ma  le spese non finivano mai ed il lavoro non era sufficiente.

Un brutto giorno il padre fu licenziato. Costretto dalla necessità, si mise d’accordo con la moglie. Il giorno dopo, tutta la famiglia si recò nel bosco che circondava il palazzo reale, dove avevano deciso di abbandonare i bambini. I due poveretti speravano che i regnanti, vedendo dei bambini soli, decidessero di accudirli e portali con sé.

I figli credevano di fare una gita, ma Tredicino aveva capito che i genitori volevano abbandonarli. Decise così di riempirsi le tasche di sassolini, per non perdere la strada di casa.

Durante la giornata, i bambini giocavano allegramente. Tredicino, non visto dagli altri, ogni tanto faceva cadere un sassolino.

I bambini, giocarono, mangiarono e poi si addormentarono. Al risveglio si era fatto buio e i bimbi si preoccuparono, non vedendo più i genitori. Tredicino li tranquillizzò, promettendo loro che il mattino dopo sarebbero rientrati a casa.

I genitori, già pentiti, decisero di tornare a prenderli il giorno dopo. Di buon mattino, i bambini si misero in marcia cercando attentamente i sassolini lasciati cadere dal fratello più piccolo. A un certo punto incontrarono i genitori e tornarono tutti a casa.

Tempo dopo, vi furono nuove difficoltà e Tredicino cercò, come la prima volta, dei sassolini, ma non ne trovò e dovette accontentarsi di briciole di pane rinsecchito.

Purtroppo gli insetti del bosco divorarono tutte le briciole di pane e Tredicino, la sera, non riuscì a trovare la strada di casa.

Cominciarono a camminare e videro, in lontananza, una casa illuminata. Bussarono e un drago aprì loro la porta. I bimbi ebbero paura, ma Tredicino non si scoraggiò e disse al drago che era inutile che li mangiasse ora, che erano denutriti e ossuti. Gli propose di farli mangiare a sazietà e, dopo, avrebbe potuto nutrirsi più adeguatamente.

Il drago accettò e tutti mangiarono abbondantemente, poi il drago si addormentò. Allora decisero di fuggire; aprirono la porta, ma il drago si svegliò e riuscì ad afferrare proprio tredicino. Lo infilò in una cassapanca con dei fori per controllare se ingrassava. Ogni sera gli chiedeva di cacciare il dito mignolo, ma il bambino gli mostrava una coda di topolino, perciò il drago doveva pazientare prima di mangiarlo. 

Un giorno il drago aprì la cassapanca; vide il bambino grasso come un porcellino e decise di cuocerlo nel forno. Si fece aiutare dal bambino a mettere nel forno legna da ardere, ma il furbo Tredicino lo infilò in fondo al forno e chiuse il pesante sportello, poi cercò nel letto del drago del denaro. Trovò moltissimi soldi, che portò alla famiglia, finalmente felice  e senza problemi. 

 

E’ un’antica fiaba siciliana, tratta dalla raccolta  “Fiabe novelle e racconti” di Giuseppe Pitré.

 

La leggenda di Glauco e Circe

 

La maga Circe si innamorò di Glauco, figlio  di Nettuno, giovane e bello. Circe era gelosissima e, per non perdere l'amore del giovane, trasformò Scilla, una bellissima ninfa, in un mostro a sei teste.

Dopo pochi mesi Circe si stancò di Glauco e tornò nell’isola di Eea.

Glauco, abbandonato dall'amata, ne soffrì ma, quando seppe che la maga aveva trasformato Scilla in un mostro, provò un senso di colpa. Ogni giorno Glauco usciva con la sua barchetta, attraversava lo stretto e andava in cerca di Scilla.  Quando la vedeva le parlava d'amore.

Col passare del tempo, Glauco, dedito solo alla pesca, divenne sempre più malinconico.  Un giorno vide in mezzo al mare un’isola piena di fiori si stese sull'erba e poggiò su di essa i pesci pescati, i quali ritornavano a nuova vita. Cominciò a mangiare erba e la sua pelle si trasformò e si colorò di verde. Divenne un tritone e visse felice nel mare, dove poteva restare accanto a Scilla per sempre.

La storia di Colapesce 

 

Cola, figlio di un pescatore di Punta Faro, aveva una grande passione per il mare e viveva sempre sott'acqua, per apprezzarne tutte le meraviglie. Quando tornava al paese, raccontava a tutti le meraviglie degli abissi marini; inoltre conosceva tutti i segreti del mare: le maree, le correnti, il clima ed era un punto di riferimento sicuro per i marinai.

Il Re di Sicilia Federico II, a cui i sudditi avevano tanto parlato delle conoscenze di Colapesce, volle conoscerlo e verificare le sue strabilianti capacità

Per metterlo alla prova, non appena lo incontrò, il Re gettò una coppa d’oro in mare e chiese al ragazzo di riportargliela. Appena emerse, Colapesce diede al Re la coppa e ne approfittò per descrivere il paesaggio marino e i fondali meravigliosi che aveva appena visto. Il Re, soddisfatto. gli donò la coppa.

Allora il Re decise di buttare in mare la sua corona: Cola gliela riportò dopo due giorni e raccontò al Re d’aver visto che la Sicilia poggia su tre colonne, di cui una solidissima, la seconda danneggiata e la terza scricchiolante.

Il Re, sempre più incuriosito, questa volta buttò in acqua un anello e chiese a Cola di riportarglielo. Colapesce accettò, ma, preoccupato per le fondamenta instabili della sua isola, avvertì che, se avessero visto emergere sull'acqua soltanto l'anello, lui non sarebbe più risalito, ma sarebbe rimasto per sempre sott'acqua.

Dopo diversi giorni l'anello tornò a galla, ma Colapesce non si fece più vedere: aveva deciso di rimanere in fondo al mare per sostenere la colonna corrosa.

Il pappagallo che racconta tre storie

 

Un mercante sposò una ragazza bellissima, da cui era amato. Un giorno dovette partire e lasciò alla moglie le provviste necessarie, ma chiuse sprangandole porte e finestre, tranne una finestrina in alto.

La povera sposa si sentiva prigioniera, ma pose un tavolo sotto la finestrina, così poteva salire su di esso e guardare il mondo intorno.

Affacciandosi, ella mostrava il suo bellissimo viso e alcuni uomini se ne innamorano e scommisero di farsi amare da lei.

Un notaio riuscì a trasformarsi in pappagallo, così volava sulla finestrina e parlava alla sua amata. Un cavaliere, altrettanto innamorato, chiese a una vecchia di diventare amica della donna per convincerla ad uscire. La vecchia cercava di trascinare la donna alla messa domenicale, ma il pappagallo cercava di evitarlo, raccontando alla donna tre racconti.

Primo racconto - Un re aveva una sola figlia che amava le bambole. Un giorno andò in campagna e lì dimenticò la sua bambola. Rientrata a casa era disperata: uscì di casa e si mise alla sua ricerca. In giro per il mondo arrivò al regno di Spagna. Il re, che aveva perduto sua figlia, l’accolse con amore e l’adottò, suscitando l’invidia delle damigelle di corte, che riuscirono a mettere il re contro la principessa, che fu chiusa in una botola. Qui camminò a tentoni e incontrò una ragazza, che era prigioniera di un mago. Le due si allearono contro il mago. Con l’astuzia riuscirono a liberarsi e si presentarono dal re, il quale voleva dare il suo regno alla figlia adottiva. La ragazza rifiutò, dichiarando di essere una principessa ed erede al trono. Così tornò al suo regno.

Secondo racconto - Un altro re aveva una figlia, che fu chiesta in sposa da un re turco. Lei rifiutò la proposta e qualche tempo dopo contrasse una terribile malattia. Suo padre, avendo saputo che una principessa aveva ritrovato la figlia del re di Spagna, la fece chiamare per aiutarlo. La ragazza accettò di aiutare la principessa malata e poi sarebbe tornata in Spagna. Si chiuse nelle stanze della malata e scoprì che il turco respinto aveva gettato un maleficio su colei che aveva osato rifiutarlo. Con l'astuzia sconfisse il turco e la figlia del re guarì. La principessa poté così tornare dal re di Spagna.

Terzo racconto - Un re e una regina avevano un solo figlio, amante della caccia. Un giorno egli nel bosco trovò una bambola bellissima. Pensò che una bambola tanto bella non potesse che appartenere ad una donna altrettanto bella. Perse la testa dietro queste fantasticherie e il re suo padre era molto preoccupato.

Un giorno il re venne a conoscenza delle prodezze della figlia adottiva del re di Spagna e le chiese di aiutarlo a dar pace a suo figlio.  La principessa, condotta nelle stanze del principe, riconobbe la sua bambola. Il principe comprese che era lei la padrona della bambola, se ne innamorò e guarì. I due decisero di sposarsi e ci fu una grandiosa festa di nozze a cui furono invitati anche gli altri regnanti. Questo fu l'ultimo racconto del pappagallo.

Quando il mercante tornò, il pappagallo lo uccise soffocandolo con il brodo bollente. Subito dopo riprese le sue fattezze umane e rivelò alla donna, ormai vedova, il suo amore. I due si sposarono. L'altro contendente alla mano della donna perse la scommessa.

Il clima della Sicilia

Secondo la leggenda, che si rifà alla mitologia greca, in un bel giorno di primavera il Dio Plutone, re degli Inferi, sbucò in Sicilia dal lago di Pergusa; e rimase colpito dalla bellezza della giovane Proserpina, che passeggiava nei prati accompagnata dalle ninfe e raccoglieva mazzi di fiori. Se ne innamorò immediatamente e decise di rapirla per portarla con sé negli inferi. Tutto avvenne così rapidamente che nessuno si accorse di nulla. Cerere, madre di Proserpina, inutilmente aspettò il rientro della figlia; la cercò per tre giorni e tre notti in cielo e in mare. Addolorata, arrabbiata, decise di vendicarsi sugli umani: provocò siccità, carestie e pestilenze. Gli uomini pregarono il sommo Giove, il quale prese una decisione "equilibrata": Proserpina poteva restare per otto mesi, da gennaio ad agosto (estate prolungata), sulla terra assieme alla madre; per gli altri quattro mesi, da settembre a dicembre (inverno), avrebbe vissuto sotto terra col marito Plutone. Ciò determinò il clima favorevole di cui gode l'isola, in cui vi è l’alternanza di due sole stagioni, con un'estate molto lunga e un breve inverno.

La Fata Morgana

 

La Fata Morgana è un fenomeno ottico che fa apparire vicini oggetti in realtà molto distanti.

Narra la leggenda che, durante le invasioni barbariche, un’orda di barbari arrivò fino allo stretto di Messina, che divide la Calabria dalla Sicilia. Il Re dei Barbari, non avendo a disposizione una barca, cercava un mezzo per raggiungere la sponda opposta. Improvvisamente gli apparve una bellissima donna che gli indicò l'isola, mostrandogliela a pochissimi metri da lui. Il Re credette che non fosse necessario immergersi in acqua, perché la brevissima distanza che lo separava dall'isola poteva essere percorsa comodamente a piedi, così scese da cavallo e affogò in mare.