Leggende campane

BENEDETTO CROCE - Storie e leggende napoletane, Adelphi

MATILDE SERAO - Leggende napoletane

Il diavolo di Mergellina

 

Il dipinto "Diavolo di Mergellina", di Leonardo da Pistoia, ritrae l’arcangelo san Michele che calca coi piedi e trafigge con la lunga lancia un dragone dalla testa di bellissima donna. L'iscrizione dice: «Et fecit victoriam halleluia!». Il dipinto, commissionato dal vescovo Diomede Carafa, raffigura la donna-diavolo (la nobildonna napoletana Vittoria D’Avalos), che si innamorò  dell’affascinante Vescovo  e ricorse a tutta la sua seduzione femminile per conquistarlo. Diomede, pur tormentato,  riuscì a vincere la tentazione e col quadro rappresentò  la vittoria, ottenuta con l'aiuto divino, sulle seduzioni della dama.

Secondo la storia che si racconta, Carafa mostrò alla dama ignara il dipinto, che raffigura il viso di una giovane donna, che sorride e si mostra in atteggiamento voluttuoso, mentre l'angelo la trafigge con la lancia, come se non si accorgesse di morire oppure come se, pur nel languore della morte, conservasse le sue attrattive.

Il dipinto fece nascere un diffuso modo di dire del popolo napoletano: "Bella come il diavolo di Mergellina».

 

Tratto da Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane

 

Leggende del principe di Sansevero

 

Benedetto Croce racconta diverse leggende su Raimondo di Sangro, principe di Sansevero (1710-71), enciclopedico, misterioso, vera e propria incarnazione del dottor Faust, che si dice che avesse fatto un patto col diavolo, per padroneggiare i segreti della natura. Gli si attribuivano arti diaboliche capricci da tiranno, opere di sangue e atti di raffinata crudeltà.

Per un perdonabile errore commesso da una coppia dei suoi servi, un uomo e una donna, li fece uccidere e imbalsamarne i corpi in modo che mostrassero nel loro interno tutti i visceri, le arterie e le vene, (in realtà si tratta delle macchine anatomiche tuttora esposte nella Cappella del principe di Sansevero a Napoli). Inoltre si dice che abbia fatto cavare gli occhi allo scultore Sammartino, realizzatore del Cristo velato, affinché non eseguisse mai per altri una così straordinaria scultura.

 

Tratto da Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane

La leggenda della regina Giovanna

 

Benedetto Croce riferisce una leggenda molto diffusa tra il popolo napoletano, relativo alla dissoluta regina Giovanna, sorella di re Ladislao, che si diceva accogliesse nel suo letto amanti di ogni estrazione sociale, di cui si disfaceva subito dopo l'amplesso. Si dice che intorno ai suoi palazzi, siti a Napoli e dintorni, vi fossero dei trabocchetti, in cui erano infisse delle lame, in cui la regina faceva precipitare i suoi sfortunati amanti, non appena le diventavano sgraditi.

Croce riporta queste parole di G.C.Capaccio: «Caroli III fìlia .... Ladislai soror ... libidinibus veluti hereditario iure mancipata, procorum petulanti turba obsessa, infimorum hominum concubitus petens». (Figlia di Carlo III... sorella di Ladislao... schiava delle sue passioni come per diritto ereditario, assediata da una chiassosa folla di corteggiatori, in cerca di rapporti con gli uomini più infimi).

 

La leggenda è stata tratta da Benedetto Croce - Storie e leggende napoletane.

La leggenda di palazzo Donn’Anna

 

Palazzo Donn'Anna si erge nel mare di Posillipo. Tutta la nobiltà napoletana, tutti i nobili spagnoli accorrevano alle feste di Donn'Anna Carafa, moglie del duca di Medina Coeli. Donna Anna di Medina Coeli era la più nobile, la più potente, la più ricca, la più bella, la più rispettata, la più temuta. Si teneva la rappresentazione di una commedia e poi una danza moresca. Tutti gli attori appartenevano alla nobiltà. Tra loro c'era Donna Mercede, sua nipote di Spagna, che interpretava la parte di una schiava

innamorata del suo padrone, fino a diventare una mezzana d'amore, ricevendo al posto suo un colpo di pugnale destinato al cavaliere da un padre crudele. Il padrone era interpretato da Gaetano di Casapesenna che, solo alla fine, viene preso da un amore tardivo. Gli applausi scrosciarono alla fine della rappresentazione per Donna Mercede, ma Donn'Anna, innamorata di Gaetano, era gelosa di donna Mercede tanto quanto l'altra era gelosa di lei. Entrambe amavano lo stesso uomo, ma solo Donna Mercede era riamata.

Un giorno Donna Mercede sparì dal palazzo e si disse che, presa da improvvisa vocazione, si era richiusa in convento. Invano Gaetano di Casapesenna cercò Donna Mercede in Italia, in Francia, in Spagna, mai più rivide la bella amante. Morì giovane in battaglia. 

Da allora la notte si sentivano sospiri, gemiti e pianti; il popolo parlava di fantasmi e credeva che si trattasse dell'anima in pena di Donn'Anna e del suo bel cavaliere infelice.

 

La leggenda è stata tratta da Matilde Serao - Leggende napoletane, 1895

Donnalbina, Donna Romita, Donna Regina

 

A via Mezzocannone a Napoli si narra la leggenda di Donnalbina, Donna Romita, Donna Regina, le tre figlie del barone Toraldo. Quando morì il barone,  Donna Regina aveva diciannove anni, Donnalbina diciassette, Donna Romita quindici.

Donna Regina era molto bella, altera ed austera, inflessibile. Donnalbina, la seconda sorella, era una fanciulla amabile e sorridente. Si occupava della distribuzione delle elemosine ai poveri, delle suppliche dei servi infermi. Donna Romita era una singolare giovinetta, con i capelli biondi e gli occhi verdi. Le tre sorelle conducevano una vita tranquilla.

Un giorno re Roberto scrisse a Donna Regina Toraldo di aver stabilito le sue nozze con Don Filippo Capece, cavaliere della corte napoletana.

Donna Romita riferì alla sorella maggiore che Donna Regina si struggeva d'amore proprio per Don Filippo. In realtà anche lei, senza volerlo ammettere, amava lo stesso uomo destinato a sposare la sorella maggiore.

Le due sorelle minori decisero di donare metà della loro dote ai poveri e l'altra parte al convento dove volevano entrare come suore. Ma anche Donna Regina aveva deciso di entrare in convento perché non poteva sposare Filippo, che la odiava. Tutte e tre abbandonarono la loro casa e finirono la loro esistenza tristemente in un convento.

 

La leggenda è stata tratta da Matilde Serao - Leggende napoletane, 1895

’O munaciello

 

Nell’anno 1445, sotto il re Alfonso d’Aragona, la giovanissima Caterina Frezza, figlia di un mercante, si innamorò del nobile Stefano Mariconda. I due si amavano molto, ma la famiglia Mariconda tormentava Stefano affinché lasciasse Caterinella. La ragazza, a sua volta, era angustiata dai suoi familiari.

Nonostante le loro famiglie fossero contrarie al loro amore, ogni notte Stefano si arrampicava sui tetti e raggiungeva la stanza di Caterina. Entrambi tremavano dalla paura. 

Una notte Stefano fu afferrato da mani assassine, che lo fecero precipitare nella via. Catarinella fuggì di casa, pazza di dolore, e fu ricoverata in un monastero di suore dove, tempo dopo, diede alla luce un bambino molto piccolo. Il bambino non cresceva e le suore le consigliarono di fare un voto alla Madonna, facendo indossare al bambino un abito da monaco.

Solo la madre e le monache gli volevano bene, ma la plebe si spaventava quando vedeva quel bambino col corpo tanto piccolo e la testa tanto grossa, e gli scagliavano addosso cattive parole e maledizioni. Un po' alla volta, nel quartiere si diffuse la voce che ‘o munaciello avesse in sé qualche cosa di magico, di soprannaturale. Gli si attribuiva la colpa dei malanni della città.

Una sera ‘o munaciello (il monachino) scomparve. Qualcuno sospettò che i Frezza lo avessero ucciso e gettato nella cloaca. Tempo dopo, in questa stessa cloaca furono trovate ossa piccole e un teschio grande.

Da allora, 'o munaciello viene nominato nei vicoli da Toledo in giù, tra via dei Tribunali e i quartieri  di Mercato, Porto e Pendino, nel bene e nel male. I genitori minacciano i bambini capricciosi di far venire di notte 'o munaciello (un po' come l'uomo nero in altri paesi). Se succede un guaio in casa, di sicuro viene incolpato lui, il diavoletto che fa cadere in tentazione le mogli fedeli, ma può anche portare fortuna, far trovare marito alle zitelle e far vincere al lotto.

 

La leggenda è stata tratta da Matilde Serao - Leggende napoletane, 1895