Storia della pedagogia antica - Sant'Agostino

 AGOSTINO

 

Agostino è autore dei seguenti scritti di argomento pedagogico: De Doctrina Christiana, il De Magistro, De Cathechizandis Rudibus.

 

L'importanza del sapere dei "pagani" anche per un cristiano.

 

Agostino sostenne che le arti liberali (Trivio: grammatica, retorica e dialettica  e Quadrivio: le quattro discipline matematiche: aritmetica, geometria, musica o acustica e astronomia), che erano state il fondamento di tutta la pedagogia romana ed imperiale, dovevano costituire anche per i cristiani la base dell’educazione. Frequentemente citava i classici dimostrando che i cristiani potevano imparare molto da essi. Considerò le arti liberali come veicoli per la verità, come mezzi per accostarsi ai princìpi divini. Il loro studio deve sollevare la mente progressivamente dalla contemplazione delle realtà materiali inferiori, basata sulla conoscenza sensibile, a quella dello spirito, alle realtà superiori, invisibili ed immutabili.

 

Nelle Confessioni insiste sulla necessità dello studio in età infantile e sull'importanza delle lezioni di scrittura, lettura ed aritmetica. Sostenne che un piacevole incoraggiamento allo studio ha più efficacia che una spaventosa costrizione.

 

Per intendere le Scritture, un insegnante cristiano deve conoscere la "natura": animali, piante, minerali e ciò che è nominato nelle Scritture. Ogni branca del sapere è utile per comprendere la parola di Dio.

 

Il maestro cristiano deve l'accattivarsi le simpatie degli educandi, rimuovere i dubbi e stimolare l'interesse dell'ascoltatore; deve saper scegliere le parole non per la loro eleganza, ma per la loro capacità di render noto ciò che egli vuole esprimere. Il suo scopo è insegnare, piacere, persuadere, insegnando poche cose in modo piacevole e persuasivo.

 

 

Nel De Magistro Agostino affronta la questione della funzione del linguaggio nell’educazione.

C'è insegnamento quando c'è discorso, ossia quando il maestro trasmetta all'allievo significati attraverso parole. Richiamandosi alla concezione della reminiscenza in Platone, egli si chiede se il discorso serva ad insegnare o a richiamare alla memoria. L'insegnare e l'imparare hanno luogo quando si usano parole per porre questioni, per insegnare e ricordare ad altri o a se stessi.

 

Secondo Agostino, le parole non sono i soli segni usati per comunicare. Il significato di alcune parole, come "camminare", può esser spiegato senza l'ausilio di un segno, solo camminando, cioè facendo quel tipo di azione. Altrettanto si può fare per azioni tipo mangiare, bere, sedere ed innumerevoli altre. L'azione non è un segno, ma un esempio pratico. Tuttavia, quando parliamo, esprimiamo parole come segni, cioè significhiamo.

 

Agostino ci offre un esempio di apprendimento senza il ricorso alle parole: un tizio, ignaro di caccia, osservò un abile cacciatore mentre tendeva le reti e catturava un uccello.  Il cacciatore divenne insegnante e lo spettatore allievo, senza bisogno di discorsi e di ricorso a segni significanti. Se l'osservatore di qualsiasi attività è intelligente, può impadronirsi della tecnica semplicemente osservando. Dunque si può insegnare senza segni, solo con l'esempio pratico: la pratica può valere persino più della teoria.

 

Il valore delle parole non sta nel loro potere di indicarci la realtà, ma nel loro potere di ricordarci realtà che già conosciamo.

Quando un maestro desidera insegnar qualcosa che è presente agli occhi suoi e dell’allievo, egli non deve contare sulle parole, ma usarle solo come supporto. La cognizione diretta della realtà è superiore a quella mediata dalle parole. Anzi noi non impariamo nulla per mezzo delle parole. Non si può insegnare ad un altro un'idea senza far sì che egli la veda o la scopra da se stesso o in se stesso.

Mentre Platone attribuisce importanza all'esperienza delle vite precedenti, Agostino attribuisce importanza all'esperienza attuale, alla visione diretta delle cose. Poiché è inutile parlare a chi non vede e non tocca con mano, il soggetto dell'educazione è l'allievo stesso, o meglio, il maestro interiore.

 

Il vero maestro è un maestro interiore all'uomo stesso, la sua coscienza, la voce di Dio, la quale ci consente di capire cosa dicono gli altri quando ci parlano. L'educatore, il maestro esteriore, l'insegnante vero e proprio, costituisce soltanto solo un'opportunità ed uno stimolo, un aiuto e una guida che ci conduce a vedere ciò che non abbiamo mai visto. Con la sua concezione del maestro interiore Agostino rivaluta ogni singolo uomo rendendogli dignità.