Incipit editi nel periodo 1985-1987

In questa pagina vengono proposti gli incipit (in genere il prologo o le prime due pagine) di libri editi a partire dal 1980 fino ad oggi, best sellers e romanzi scelti tra quelli maggiormente venduti.

 

GABRIEL GARCIA MARQUEZ - L'amore ai tempi del colera (1985)

                                                              ANTONIO SKÁRMETA - Il postino di Neruda (1985)

ISABEL ALLENDE - Eva Luna (1987)

FLANNIE FLAGG - Pomodori verdi fritti al Caffé.... (1987)

SCOTT TUROW - Presunto innocente (1987)

Antonio Skármeta - Il postino di Neruda (1985)

Nel giugno 1969 due motivi, tanto fortunati quanto banali, indussero Mario Jiménez a cambiare mestiere.Primo, la sua disaffezione per le fatiche della pesca, che lo buttavano giù dal letto prima dell'alba, quasi sempre mentre sognava di audaci amori impersonati da eroine ardenti simili a quelle che vedeva sullo schermo del cinematografo di San Antonio. Questo talento, unito alla conseguente simpatia per i raffreddori, reali o finti, mediante i quali si sottraeva un giorno sì e uno no alla preparazione dell'attrezzatura sulla barca di suo padre, gli permetteva di crogiolarsi sotto le nutrite coltri cilene, perfezionando i suoi idilli onirici, finché il pescatore José Jiménez tornava dall'alto mare inzuppato e affamato, ed egli mitigava il suo complesso di colpa imbandendo una colazione di pane croccante, chiassose insalate di pomodoro con cipolla, più prezzemolo e coriandolo, e una drammatica aspirina che inghiottiva quando il sarcasmo del genitore gli penetrava fino alle ossa.

«Cercati un lavoro», era la frase semplice e feroce con cui l'uomo concludeva uno sguardo accusatore che riusciva a tenere fino a dieci minuti, e che mai comunque durò meno di cinque.

«Sì, papà», rispondeva Mario, pulendosi il naso con la manica del pullover.

Se questo, forse, fu il motivo banale, l'altro, quello fortunato, fu il possesso di un'allegra bicicletta marca Legnano, valendosi della quale Mario lasciava ogni giorno il limitato orizzonte della caletta dei pescatori diretto al villaggio di San Antonio, infimo, ma che a paragone del suo casale gli dava un'impressione di fasto babilonico.

La mera contemplazione dei cartelloni del cinema, con quelle donne dalla bocca torbida e inquietante e certi tipi di duri che masticavano avana tra denti impeccabili, lo precipitava in una trance da cui usciva solo dopo due ore di pellicola, per ritornare pedalando sconsolato alla sua routine, talvolta sotto una pioggia costiera che gli ispirava epiche infreddature.

GABRIEL GARCIA MARQUEZ - L'amore ai tempi del colera (1985)

Era inevitabile: l'odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati. Il dottor Juvenal Urbino lo sentì appena entrato nella casa ancora in penombra, dove era accorso d'urgenza per occuparsi di un caso che per lui aveva cessato di essere urgente da molti anni. Il rifugiato antillano Jeremiah de Saint-Amour, invalido di guerra, fotografo di bambini e il suo avversario di scacchi più pietoso, si era messo in salvo dai tormenti della memoria con un suffumigio di cianuro di oro.

Trovò il cadavere sotto una coperta nella branda da campo dove aveva dormito sempre, vicino a uno sgabello con la bacinella che era servita a vaporizzare il veleno. Per terra, legato a una gamba della branda, c'era il corpo disteso di un gran danese col petto spruzzato di bianco, e vicino a lui c'erano le grucce. La stanza soffocante e confusionata che serviva al tempo stesso da camera da letto e da laboratorio, incominciava appena a illuminarsi col bagliore dell'alba dalla finestra aperta, ma era una luce sufficiente per riconoscere immediatamente l'autorità della morte. Le altre finestre, così come qualsiasi altra fessura della stanza, erano imbavagliate da stracci o sigillate da cartoni neri, e questo ne aumentava la densità oppressiva. C'erano un bancone pieno di flaconi e boccette senza etichetta, e due bacinelle di peltro corroso sotto un fornello comune coperto di carta rossa. La terza bacinella, quella del fissante, era vicino al cadavere. Dappertutto c'erano riviste e giornali vecchi, pile di negativi su lastre di vetro, mobili rotti, ma tutto era preservato dalla polvere da una mano diligente. Anche se l'aria della finestra aveva purificato l'ambiente, rimaneva ancora, per chi l'avesse saputo riconoscere, il sentore tiepido degli amori disgraziati delle mandorle amare. Il dottor Juvenal Urbino aveva pensato più di una volta, senza animo premonitore, che quello non era un luogo propizio per morire in grazia di Dio. Ma col tempo aveva finito per supporre che il disordine che vi regnava obbedisse a una risoluzione cifrata della Divina Provvidenza.

Un commissario di polizia era arrivato prima con uno studente di medicina molto giovane che faceva pratica nell'ambulatorio municipale, erano stati loro a ventilare la stanza e a coprire il cadavere fino all'arrivo del dottor Urbino. Tutti e due lo salutarono con una solennità che questa volta era più di condoglianze che di venerazione, dato che nessuno ignorava il grado di amicizia che aveva per Jeremiah de Saint-Amour. L'eminente maestro strinse loro la mano, come faceva da sempre con tutti i suoi allievi prima di incominciare la lezione quotidiana di clinica medica, poi prese il bordo della coperta con i polpastrelli dell'indice e del pollice, come se fosse un fiore, e scoprì il cadavere poco per volta con una circospezione sacramentale. 

ISABEL ALLENDE - Eva Luna (1987)

UNO
Mi chiamo Eva, che vuole dire vita, secondo un libro che mia madre consultò per scegliermi il nome. Sono nata nell'ultima stanza di una casa buia e sono cresciuta fra mobili antichi, libri in latino e mummie, ma questo non mi ha resa malinconica, perché sono venuta al mondo con un soffio di foresta nella memoria. Mio padre, un indiano dagli occhi gialli, veniva dal  luogo in cui si uniscono cento fiumi, odorava di bosco e non guardava mai direttamente il cielo, perché era cresciuto sotto la cupola degli alberi e la luce gli sembrava indecorosa. Consuelo, mia madre, aveva trascorso l'infanzia in una regione incantata, dove per secoli gli avventurieri hanno cercato la città di oro puro vista dai conquistatori spagnoli allorché si affacciarono sugli abissi della loro ambizione. Quel paesaggio aveva lasciato in lei una traccia che in qualche modo riuscì a
trasmettermi.
I missionari raccolsero Consuelo quando non sapeva ancora camminare, era solo una marmocchia nuda e coperta di fango e di escrementi, che era arrivata sgattaiolando lungo il ponte dell'imbarcadero come un minuscolo Giona vomitato da una balena di acqua dolce. Mentre la lavavano, constatarono senz'ombra di dubbio che era femmina, cosa che suscitò in loro una certa confusione, ma ormai c'era e non si poteva buttarla nel fiume, sicché le misero un pannolino per nasconderle le vergogne, le spremettero qualche goccia di limone negli occhi per guarirle l'infezione che le impediva di aprirli e la battezzarono col primo nome femminile che venne loro in mente. La educarono poi senza cercare spiegazioni sulla sua origine e senza troppe ansie, sicuri che se la Divina Provvidenza l'aveva tenuta in vita finché loro non l'avevano trovata, avrebbe continuato a vegliare sulla sua integrità fisica e spirituale, o, nel peggiore dei casi, se la sarebbe portata in cielo insieme ad altri innocenti. Consuelo crebbe senza un ruolo fisso nella severa gerarchia della Missione. Non era esattamente una domestica, non apparteneva al rango degli indiani della scuola e quando aveva chiesto quale dei sacerdoti era suo padre, si era beccata un ceffone per la sua insolenza. Mi raccontò che era stata abbandonata su una barca alla deriva da un navigatore olandese, ma questa è sicuramente una leggenda che si era inventata in seguito per liberarsi dall'assillo delle mie domande. Credo che in realtà non sapesse nulla dei suoi genitori né di come fosse finita in quel luogo.

FLANNIE FLAGG - Pomodori verdi fritti al Caffé.... (1987)

Signora Virginia Threadgoode, giugno 1986. IL GIORNALE DELLA SIGNORA WEEMS (BOLLETTINO SETTIMANALE DI WHISTLE STOP. ALABAMA) 12 giugno 1929. Apre un nuovo caffè. Il Caffè di Whistle Stop ha aperto la settimana scorsa, proprio di fianco a me alla posta, e le proprietarie, Idgie Threadgoode e Ruth Jamison, affermano che fin dal primo giorno gli affari sono andati a gonfie vele. Idgie dice che la gente non deve aver paura di restare avvelenata, perché non è lei che cucina ma due donne di colore, Sipsey e Onzell, mentre al barbecue c'è Big George, il marito di Onzell. Se qualcuno non c'è ancora stato, Idgie dice che la colazione viene servita dalle 5.30 alle 7.30 e il menù prevede uova, farina di granturco, biscotti, pancetta affumicata, salsiccia, prosciutto, sugo di carne e caffè, il tutto per 25 centesimi. Per pranzo e cena: pollo fritto, braciole di maiale al sugo, pescegatto, pollo e gnocchi o barbecue e tre verdure a scelta, gallette o pane di granturco, bevande e dessert per 35 centesimi. Fra le verdure Idgie elenca: granturco alla panna, pomodori verdi fritti, rombo fritto, cavolo riccio, barbabietole, fagioli dell'occhio, patate dolci e fagioli di Lima. Io e la mia metà, Wilbur, ci siamo stati, ed era tutto così buono che ora lui non vuole più mangiare a casa. Fosse vero! Passo le giornate a cucinare per quello zuccone, eppure sembra che non ne abbia mai abbastanza. Per finire, Idgie dice che una delle sue galline ha deposto un uovo con dentro una banconota da dieci dollari. Dot Weems.

SCOTT TUROW - Presunto innocente (1987)

RELAZIONE PRELIMINARE

Comincio sempre così: "Io sono la pubblica accusa. "Rappresento lo stato. Sono qui per esporvi le prove di un reato. Insieme, voi valuterete queste prove. Le discuterete. Deciderete se dimostrano la colpevolezza dell'imputato. "Quest'uomo..." E tendo la mano per indicarlo. Devi sempre indicare, Rusty, mi aveva raccomandato John White. Fu il giorno che entrai in carica. Lo sceriffo mi prese le impronte digitali, il giudice capo mi fece giurare e John White mi portò ad assistere al primo processo con giuria che avessi mai visto. Ned Halsey stava facendo la relazione preliminare per conto dello stato; e quando tese la mano per indicare, John, con quel suo fare generoso da bravo zio, e l'odore umido dell'alcol nell'alito alle dieci del mattino, mi sussurrò la prima lezione. A quel tempo era viceprocuratore capo: un irlandese dai capelli bianchi, ribelli come la "barba" del granoturco. Avvenne quasi dodici anni fa, molto tempo prima che cominciassi ad avere l'ambizione segreta di occupare il posto di John. Se non hai il coraggio di indicare l'imputato, mi disse John White sottovoce, non puoi pretendere che i giurati abbiano il coraggio di dichiararlo colpevole. Perciò tendo la mano, e punto l'indice. Cerco gli occhi dell'imputato. Dico: "Quest'uomo è accusato..." Lui distoglie lo sguardo. O sbatte le palpebre. Oppure resta impassibile. All'inizio ero spesso preoccupato; immaginavo cosa si doveva provare a essere lì, al centro dell'attenzione, accusato appassionatamente di fronte a tutti, con la consapevolezza che i privilegi più normali di una vita decente, la comune fiducia, il rispetto personale, persino la libertà, ormai erano come un cappotto che avevi consegnato all'ingresso e forse non avresti più recuperato. Percepivo la paura, la frustrazione rovente, l'ossessione della diversità.

Adesso, come nei giacimenti di minerali, la sostanza più dura del dovere e delle obbligazioni si è insinuata nelle vene dove un tempo scorrevano questi sentimenti più delicati. Ho un lavoro da fare. Non sono diventato menefreghista. Credetemi. Ma il com­pito di accusare, giudicare, punire, è sempre esistito; è una delle grandi ruote che girano alla base di tutto ciò che facciamo. Io faccio la mia parte. Sono un funzionario dell'unico sistema uni­versalmente riconosciuto per distinguere il torto dalla ragione, un burocrate del bene e del male. Questo dev'essere proibito, quello no. Ci si potrebbe aspettare che dopo tanti anni passati a formulare accuse, partecipare a processi, vedere gli imputati che vanno e vengono, tutto diventi confuso. Ma non è così.

Mi rivolgo ai giurati.

UMBERTO ECO - Il pendolo di Foucault (1988)

 

Fu allora che vidi il Pendolo.

La sfera, mobile all'estremità di un lungo filo fissato alla volta del coro, descriveva le sue ampie oscillazioni con isocrona maestà.

lo sapevo - ma chiunque avrebbe dovuto avvertire nell'incanto di quel placido respiro - che il periodo era regolato dal rapporto tra la radice quadrata della lunghezza del filo e quel numero π che, irrazionale alle menti sublunari, per divina ragione lega necessariamente la circonferenza al diametro di tutti i cerchi possibili - così che il tempo di quel vagare di una sfera dall'uno all'altro polo era effetto di una arcana cospirazione tra le più intemporali delle misure, l'unità del punto di sospensione, la dualità di una astratta dimensione, la natura ternaria di π il tetragono segreto della radice, la perfezione del cerchio.

Ancora sapevo che sulla verticale del punto di sospensione, alla base, un dispositivo magnetico, comunicando il suo richiamo a un cilindro nascosto nel cuore della sfera, garantiva la costanza del moto, artificio di-sposto a contrastare le resistenze della materia, ma che non si opponeva alla legge del Pendolo, anzi le permetteva di manifestarsi, perché nel vuoto qualsiasi punto materiale pesante, sospeso all'estremità di un filo inestensibile e senza peso, che non subisse la resistenza dell'aria, e non facesse attrito col suo punto d'appoggio, avrebbe oscillato in modo regolare per l'eternità.

La sfera di rame emanava pallidi riflessi cangianti, battuta com'era da-gli ultimi raggi di sole che penetravano dalle vetrate. Se, come un tempo, avesse sfiorato con la sua punta uno strato di sabbia umida disteso sopra il pavimento del coro, avrebbe disegnato a ogni oscillazione un solco leggero sul suolo, e il solco, mutando infinitesimalmente di direzione ad ogni istante, si sarebbe allargato sempre più in forma di breccia, di vallo, lasciando indovinare una simmetria reggiate - come lo scheletro di un mandala, la struttura invisibile di un pentaculum, una stella, una mistica rosa. No, piuttosto una vicenda, registrata sulla distesa di un deserto, di tracce lasciate da infinite ematiche carovane. Una storia di lente e millenarie migrazioni, forse così si erano mossi gli atlantidi del continente di Mu, in ostinato e possessivo vagabondaggio, dalla Tasmania alla Groenlandia, dal Capricorno al Cancro, dall'Isola del Principe Edoardo alle Svalbard.

La punta ripeteva, narrava di nuovo in un tempo assai con-tratto, quello che essi avevano fatto dall'una all'altra glaciazione, e forse facevano ancora, ormai corrieri dei Signori - forse nel percorso tra le Samoa e la Zemlia la punta sfiorava, nella sua posizione di equilibrio, Agarttha, il Centro del Mondo. E intuivo che un unico piano univa Avalon, l'iperborea, al deserto australe che ospita l'enigma di Ayers Rock.

In quel momento, alle quattro del pomeriggio del 23 giugno, il Pendolo smorzava la propria velocità a un'estremità del piano d'oscillazione, per ricadere indolente verso il centro, acquistar velocità a metà del suo percorso, sciabolare confidente nell'occulto quadrato delle forze che ne segnava il destino.

THOMAS HARRIS - Il silenzio degli innocenti (1988)

Scienza del Comportamento, la sezione dell'FBI che si occupa degli omicidi in serie, è al piano più basso della sede dell'Accademia a Quantico, ed è semisepolta nel terreno. Clarice Starling vi arrivò un po' affannata dopo una veloce camminata da Hogan's Alley, il poligono di tiro. Aveva qualche filo d'erba tra i capelli e macchie d'erba sulla giacca a vento dell'Accademia perché aveva dovuto buttarsi al suolo sotto il fuoco, in un'esercitazione di arresto al poligono.
Nell'anticamera non c'era nessuno, e così si assestò rapidamente i capelli guardando la propria immagine riflessa nella porta di vetro. Sapeva di avere un aspetto accettabile anche senza farsi bella. Le mani avevano odore di polvere da sparo, ma non aveva avuto il tempo di lavarle... la convocazione del caposezione Crawford era urgente.
Trovò Jack Crawford nell'ufficio caotico. Era in piedi accanto alla scrivania di un altro e parlava al telefono, e Clarice ebbe la possibilità di guardarlo attentamente per la prima volta in un anno. E ciò che vide le ispirò un vago senso d'inquietudine.
Di solito, Crawford aveva l'aspetto di un ingegnere di mezza età in ottima forma che probabilmente s'era pagato gli studi universitari giocando a baseball... un catcher abile e astuto, e duro quando doveva bloccare il piatto. Adesso era magro, il colletto della camicia gli andava largo, e c'erano borse scure sotto gli occhi arrossati. Chi leggeva i giornali sapeva che la sezione Scienza del Comportamento era sotto il fuoco.

Sveva Casati Modignani - Donna d'onore (1988)

CAPITOLO 1.
MARK Fawcett, cronista d'assalto del New York Times, esitò tra il sibilo del bollitore e lo squillo del telefono.
Subito prevalse l'interesse per la comunicazione esterna, ma doveva interrompere l'urlo del vapore se voleva ragionevolmente mettersi in contatto con l'interlocutore dall'altra parte del filo. Rischiò la catastrofe scivolando su uno strofinaccio abbandonato la sera prima sul pavimento, riuscì a spegnere il gas e guadagnò la postazione telefonica dimenticando che aveva la faccia coperta di schiuma da barba, bianca e soffice come la neve che vedeva scendere nel riquadro della finestra. Chissà perché anche le operazioni più semplici come quella di radersi, farsi un caffè e rispondere al telefono erano diventate maledettamente complesse da quando Carolyn se n'era andata.
«Eccolo!» urlò nel microfono infilando subito dopo un rosario di imprecazioni: la schiuma da barba aveva intasato l'auricolare impedendogli l'ascolto. Quando ripristinò il collegamento udì una voce metallica inconfondibilmente riflessa dal satellite che concludeva un breve discorso con una esclamazione: DINAMITE!
«Chiunque tu sia, dimmi il tuo nome e ricomincia da principio» gridò.
«Che cosa ti prende, Mark?» interrogò perplesso l'interlocutore.
«É una storia lunga» replicò Mark riconoscendo finalmente la voce di Gianni Ricci, capocronista del Giornale di Sicilia che gli stava telefonando da Palermo.
Avevano la stessa età, quarantaquattro anni, e avevano vissuto insieme, quando Ricci aveva abitato a New York, in un appartamentino in Bleecker Street sognando orizzonti di gloria.

LUIS SEPULVEDA - Il vecchio che leggeva romanzi d'amore (1989)

CAPITOLO PRIMO
Il cielo, che gravava minaccioso a pochi palmi dalle teste, sembrava una pancia d'asino rigonfia. Il vento, tiepido e appiccicoso, spazzava via alcune foglie morte e scuoteva con violenza i banani rachitici che decoravano la facciata del municipio.
I pochi abitanti di El Idilio, e un pugno di avventurieri arrivati dai dintorni, si erano riuniti sul molo e aspettavano il loro turno per sedersi sulla poltrona portatile del dottor Rubicundo Loachamín, il dentista, che leniva i dolori dei suoi pazienti con una curiosa sorta di anestesia orale.
«Ti fa male?» chiedeva.
I pazienti, aggrappati ai braccioli della poltrona, rispondevano spalancando smisuratamente gli occhi e sudando a fiumi.
Alcuni volevano togliersi dalla bocca le mani insolenti del dentista per rispondergli con un insulto adeguato, ma le loro intenzioni si scontravano con le braccia robuste e la voce autoritaria dell'odontoiatra.
«Sta' fermo, cazzo! Via le mani! Lo so che fa male. E di chi è la colpa? Vediamo un po'. Mia? No. È del Governo! Ficcatelo bene nella zucca. È colpa del Governo se hai i denti marci. È colpa del Governo se ti fa male.»
Allora assentivano afflitti, chiudendo gli occhi o annuendo leggermente.
Il dottor Loachamín odiava il Governo. Odiava tutti i governi dal primo all'ultimo. Figlio illegittimo di un emigrante iberico, aveva ereditato dal padre una tremenda rabbia contro tutto quello che sapeva di autorità, ma i motivi di quell'odio si erano smarriti in qualche baldoria giovanile, e i suoi sproloqui di anarchico si erano trasformati in una specie di verruca morale, che lo rendeva simpatico.

JOHN GRISHAM - Il momento di uccidere (1989)

Billy Ray Cobb era il più giovane e il più piccolo dei due teppisti. A ventitré anni ne aveva già passati tre nel penitenziario di Parchman. Possesso di droga a scopo di spaccio. Era un piccolo punk, magro e ossuto, sopravvissuto in carcere grazie a un puntuale rifornimento di droghe da vendere o magari regalare ai negri e alle guardie in cambio di protezione. Nell'anno passato dal rilascio aveva continuato a prosperare, e il suo picco-lo traffico di stupefacenti l'aveva innalzato alla posizione di uno dei malavitosi più ricchi della Ford County. Era un uomo d'affari, con dipendenti, impegni, accordi... tutto, tranne le tasse. Alla concessionaria della Ford di Clanton era conosciuto come l'ultimo che, in tempi recenti, aveva pagato in contanti un camioncino nuovo. Sedicimila dollari, tutti e subito, per un pickup giallo canarino con quattro ruote motrici, una fuoriserie di gran lus-so. I cerchioni cromati e le gomme da gara li aveva ottenuti in una transazione d'affari. La bandiera dei ribelli della Confederazione appesa al lunotto posteriore era stata rubata da Cobb a un ragazzo ubriaco d'una lega studentesca durante una partita di football dell'Ole Miss. Il pickup era la cosa più preziosa che Billy Ray possedesse. Adesso era seduto sulla sponda posteriore e fumava uno spinello mentre guardava l'amico Willard che se la spassava con la negretta.

Willard aveva quattro anni più di Cobb ma, dal grado di maturità, ne dimostrava una dozzina di meno. Era generalmente un tipo innocuo, che non aveva mai avuto guai seri ma neppure un lavoro serio. Magari qualche scazzottata e una notte in guardina, ma niente di più. Diceva d'essere un taglialegna, ma quasi sempre i dolori alla schiena lo tenevano lontano dalle foreste. S'era fatto male quando lavorava su una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico, e l'azienda gli aveva pagato un risarcimento cospicuo,

che aveva perso totalmente quando l'ex moglie l'aveva ripulito. La sua vocazione principale era fare il dipendente part-time di Billy Ray Cobb, che non pagava molto ma non lesinava sulla droga. Per la prima volta dopo tanti anni Willard riusciva sempre a mettere le mani sulla roba. E ne aveva bisogno, da quando s'era fatto male alla schiena.

KAZUO ISHIGURO - Quel che resta del giorno (1989)

Appare sempre più probabile che riuscirò davvero ad intraprendere la spedizione che da alcuni giorni ormai tiene completamente occupata la mia fantasia Spedizione, vorrei aggiungere, che intraprenderò da solo nella comodità della Ford di Mr Farraday; e che, a quanto prevedo, attraverso gran parte della più bella campagna inglese, mi condurrà fino alla costa occidentale del paese e riuscirà a tenermi lontano da Darlington Hall per cinque o sei giorni almeno.

L'idea di un simile viaggio era nata, mi preme sottolinearlo, da una proposta delle più cortesi avanzatami da Mr Farraday in persona un pomeriggio di quasi due settimane orsono mentre spolveravo i ritratti in biblioteca.

E infatti, a quanto ricordo, mi trovavo in cima alla scala a pioli, intento a spolverare il ritratto del Visconte di Wetherby, allorché aveva fatto il suo ingresso in biblioteca il mio datore di lavoro il quale recava con  sé alcuni volumi che presumibilmente desiderava venissero riposti sugli scaffali.

Accorgendosi della mia persona, egli colse l'opportunità di informarmi di aver proprio allora definito il programma del suo rientro negli Stati Uniti per un periodo di cinque settimane tra agosto e settembre.

Fatto questo annuncio, il signore depose i volumi su un tavolo, prese posto sulla chaiselongue e distese le gambe.

Fu solo a quel punto che, fissando lo sguardo su di me, aggiunse:  Spero sia chiaro, Stevens, che non mi aspetto che te ne rimanga chiuso in questa casa per tutto il tempo in cui starò via.

Perché non prendi la macchina e non te ne vai a fare un giro, per qualche giorno? A vederti hai tutta l'aria di uno che ha bisogno di una vacanza.

KEN FOLLETT - I pilastri della terra (1989)

PROLOGO
1123
I bambini vennero presto per assistere all'impiccagione.
Era ancora buio quando i primi tre o quattro uscirono furtivamente dai casolari, silenziosi come gatti nei loro stivali di feltro.
Uno strato di neve fresca copriva il paese come una nuova mano di colore e le loro orme furono le prime a intaccarne la superficie immacolata. Passarono tra le casupole di legno camminando sul fango ghiacciato delle viuzze e raggiunsero la piazza del mercato dove attendeva la forca.
I bambini disprezzavano tutto ciò che gli adulti tenevano in considerazione.
Spregiavano la bellezza e schernivano la bontà. Ridevano fragorosamente alla vista di uno storpio e se vedevano un animale sofferente lo uccidevano a sassate. Si vantavano delle loro ferite e ostentavano le cicatrici con orgoglio, e riservavano il massimo rispetto alle mutilazioni: un ragazzetto privo di un dito poteva essere il loro re.
Amavano la violenza; erano capaci di percorrere miglia e miglia per vedere il sangue, e non mancavano mai a un'impiccagione.
Uno di loro pisciò alla base del patibolo. Un altro salì i gradini, si portò i pollici alla gola e finse di accasciarsi torcendo la faccia nella macabra parodia del soffocamento; gli altri gettarono grida di ammirazione e due cani giunsero abbaiando sulla piazza. Un bambino piuttosto piccolo cominciò sfacciatamente a mangiare una mela, e uno dei più grandi gli diede un pugno sul naso e gli portò via il frutto. Per sfogare la rabbia, il più piccolo tirò un sasso a un cane che fuggì guaendo. Non c'era nient'altro da fare e perciò tutti si accovacciarono sul pavimento asciutto del portico della grande chiesa aspettando che succedesse qualcosa.
Le luci delle candele palpitavano dietro le imposte delle solide case di legno e pietra intorno alla piazza, dove abitavano artigiani e bottegai benestanti: le sguattere e gli apprendisti accendevano il fuoco, scaldavano l'acqua e preparavano il porridge. Il cielo trascolorava dal nero al grigio. La gente usciva dalle case avvolta in pesanti mantelli di lana ruvida e scendeva rabbrividendo al fiume per attingere l'acqua.