GIOVANNI SEGANTINI (1858-1899)

AUTOBIOGRAFIA (tratta da Giovanni Segantini -  Autobiografia e scritti sull’arte, in Scritti e lettere, Torino, Bocca, 1910

La madre di Giovanni Segantini  apparteneva alla nobiltà di montagna, mentre il padre apparteneva alla borghesia ed aveva  venticinque anni più della madre, che era la sua terza moglie. I due realizzarono un nido ad Arco nel Trentino, in cui nacquero i  due figli. Il  primo morì in un incendio. La nascita di Giovanni causò una grave infermità alla madre, che non poté giovarsi di nessuna cura.

La madre era alta, bella “come un tramonto di primavera”. Morì all’età di  ventinove anni.

Morta la madre, il padre andò a stabilirsi con il figlio a Milano, dove aveva altri figli del primo matrimonio. Partì on il primo figlio per andare lontano a lavorare, affidando Giovanni alla sorella. I due vivevano in un abbaino, con due finestrine molto in alto, sicché Giovanni non riusciva a vedere altro che il cielo. Spesso aveva paura di restare solo. Si affacciava a una finestra per lunghissime giornate  aspettando sempre il babbo, che non tornò più.

Trascorreva il tempo guardando il cielo e cantando a squarciagola.

Un giorno la sorella gli diede secchi, pennelli e colori. Inizialmente fu sgomento, ma superò facilmente la paura dell'ignoto e dell'incomprensibile. Guardando un muro che veniva tinteggiato da un pittore, vedeva alcune forme definite nelle grosse macchie amorfe sul muro: a furia di contemplarle, riusciva a vedere qualche cosa: un soldato austriaco col corpo inclinato avanti, con delle braccia lunghe con una  cassa tirata da un grosso cane su di un carro; un ponte; un uomo che somigliava al padre. In realtà, guardando meglio,  non vide altro che delle macchie informi.

In quelle macchie trovò  una vita varia animata di bestie fantastiche, di persone deformi, che si componeva e scomponeva sotto i suoi occhi. Su quelle pareti Giovanni scopriva i  verdi prati, ruscelletti trasparenti, il suo giardinetto di Arco, i nascondigli pieni d'ombra e di frescura che prediligeva.

Durante l’inverno restava chiuso nella cameretta, dove trascorreva le sue tristi giornate e in cui ogni pensiero verde, ogni azzurra speranza, svanivano dalla sua mente.

Con l’arrivo della primavera decise di andarsene lontano,  attraverso i monti in Francia. Ripensò a nuove e ridenti immagini, al verde, all'azzurro. ai monti, ai ruscelli scintillanti, alla libera luce, al sole.

 Finalmente, un bel giorno si decise. Era una giornata calda, soffocante; ma tutta quella luce, quel sole radioso, quei campi, quegli alberi gli davano un'ebbrezza di gioia che lo rendeva leggero.

Arrivata la notte, lo prese nuovamente la paura del buio, che non gli lasciava distinguer bene la strada. Cadde affranto sul margine della strada, presso un grosso tronco d'albero, e si addormentò.

Due uomini lo presero, gli chiesero chi fosse e Giovanni disse che era intenzionato ad andare in Francia.

Lo condussero nella loro casa al caldo. Lo fecero rifocillare ed egli raccontò la sua storia. Lo tennero con sé in cambio di piccoli lavori.

Segantini giunse così a 19 anni, con un cocente desiderio d'amare. Un  giorno, dopo aver udito un concerto strumentale, inebriato dalla musica,  nella sua mente mille forme vaghe formarono una vorticosa ridda in cui si abbracciavano, si scomponevano in pose soavemente ritmiche, poi sfumavano.

Per dedicarsi alla pittura visitò un'esposizione d'arte moderna. I quadri gli parevano insignificanti e muti, in cui non vedeva altro che delle larghe pennellate.

Il giorno dopo si iscrisse al primo corso elementare di Figura. Aveva già frequentato i corsi serali di ornato, ma comprese l'inutilità dell'insegnamento accademico per coloro che son nati coll'anima eletta d'artista.

In quel periodo produsse il primo dipinto ad olio, "Il coro della chiesa di Sant'Antonio". Aveva compreso che, mescolando i colori sulla tavolozza, non si otteneva né luce né aria; trovò il modo di disporli schietti e puri avvicinandoli sulla tela gli uni agli altri, senza mescolarli perché voleva che l’occhio dell’osservatore li fondesse. In questo modo egli ottenne una semovenza delle materie coloranti, creando maggior luce, maggior aria e maggior verità.

Con questi primi mezzi tecnici, di colore, di forma, e di disegno che apprese da autodidatta, si recò in Brianza  e vi rimase per circa 4 anni. La Natura era il suo strumento,  che suonava in modo da accompagnare ciò che cantava il suo cuore, ossia le armonie calme dei tramonti ed il senso intimo delle cose. Tutto ciò nutriva il suo spirito di grande melanconia e  produceva nella sua anima una dolcezza infinita.

Passò dai colli ai monti fra i contadini, i pastori, i montanari, le capanne ed i paesi, studiando gli abitanti, le bestie, gli ambienti, la terra. Rimase per otto anni fra le Alpi dei Grigioni e sugli alti pascoli a 2500 m.

In quei paesi apprese a fissare  più arditamente il sole, amò i suoi raggi e studiò  la Natura nelle forme sue più vive e nel colore suo più luminoso. Qui scrisse le sue prime lettere sull'arte. 

 

Nei suoi Pensieri scrisse: "La cosa che più amo è il sole, dopo il sole la primavera, poi le fonti che scaturiscono limpide dalle rocce nelle Alpi, che vanno e scorrono nelle vene della terra, come scorre il sangue nelle vene nostre.  Il sole è l'anima che dà vita alla terra, e la primavera ne è il parto fecondo. Queste tre cose amo sopra alle altre perché esse portano gioia e piaceri a noi, alla terra ed a tutti gli esseri animati"

 

Giovanni Segantini -  Autobiografia e scritti sull’arte, in Scritti e lettere, Torino, Bocca, 1910

Cenni biografici (tratti da Wikipedia)

 

Giovanni Segantini (Arco, 15 gennaio 1858 – Schafberg, Svizzera, 28 settembre 1899) è stato un pittore italiano, tra i massimi esponenti del divisionismo. Figlio di Agostino Segantini e Margarita de Girardi, nasce ad Arco, nel Tirolo, in una famiglia in condizioni economiche precarie. Alla morte della madre, nel 1865 viene inviato dal padre a Milano, in custodia presso la figlia di primo letto Irene.

Segantini vive una giovinezza chiusa e solitaria, più volte arrestato per vagabondaggio. Nel 1873 lavora come garzone nella bottega del fratellastro Napoleone a Borgo Valsugana.

Nel 1874 torna a Milano e si iscrive ai corsi serali dell'Accademia di belle arti di Brera, che frequenta per quasi tre anni.

A Milano lavora presso la bottega di Luigi Tettamanzi, artigiano decoratore e insegna disegno all'istituto Marchiondi. Frequenta, dal 1878 al 1879, i corsi regolari dell'Accademia di Belle Arti di Brera, seguendo le lezioni di Giuseppe Bertini.

L'anno dopo conosce anche Luigia Bugatti (sorella di Carlo Bugatti), detta Bice, la donna che gli sarà compagna per tutta la vita; si trasferisce in Brianza,dove tenta di distaccarsi dalle impostazioni accademiche giovanili, ricercando una forma espressiva più personale e originale. 

I soggetti di questo periodo sono ispirati per lo più alla vita contadina:  Zampognari in Brianza, La raccolta dei bozzoli, La benedizione delle pecore. 

Riceve grandi riconoscimenti in Italia e all'estero.

La sua arte assume una caratterizzazione divisionistica, arricchita da accenni simbolisti.

Tema ricorrente è la figura femminile e la maternità.

Nella sua ultima opera, il Trittico della Natura, i soggetti apparentemente naturalistici sono in realtà metafore della vita, della morte e della natura.