HENRI BERGSON

BERGSON

Nel secolo dello sviluppo scientifico e del Positivismo Bergson, pur considerando la scienza come lo strumento migliore per indagare il mondo fisico, la ritiene inadeguata alla conoscenza del mondo spirituale perché è incapace di cogliere l'essenza spirituale profonda che permea la realtà. La coscienza è un flusso continuo che non può essere colto da un esame obiettivo né analizzato da una scienza che riesce solo ad osservare istanti separati e astrattamente isolati. 

Bergson individua due ambiti diversi della realtà: uno esterno, costituito da oggetti materiali che si collocano nello spazio, uno interno costituito da eventi ed esperienze che si collocano nel tempo; il primo è oggetto di studio da parte della scienza che tende a ritagliare le cose nello spazio e tende a rappresentare graficamente il tempo come una linea retta divisibile in segmenti uguali; il secondo è il tempo reale o durata reale, in cui ogni istante è presente anche in quello successivo. Bergson ricerca i dati immediati della coscienza, cogliendoli nella loro immediatezza; i dati di coscienza sono qualitativamente eterogenei, a differenza della realtà esteriore, che è divisibile in parti quantitativamente omogenee ed è analizzabile matematicamente e fisicamente.

Bergson riprende la contrapposizione tra mondo esteriore e mondo interiore del dualismo cartesiano:  come Kant, sostiene che la realtà esterna ha come sua dimensione specifica lo spazio mentre la realtà interiore ha come dimensione il tempo. Erroneamente a volte interpretiamo l’interiorità in forma spaziale, sovrapponendo al concetto di spazio quello di tempo, ossia spazializziamo il tempo: dobbiamo invece riappropriarci della nostra vera dimensione, che è quella temporale, ossia avvicinarci al mondo della coscienza nella sua dimensione temporale.

Al  tempo spazializzato, che è il tempo suddiviso secondo canoni fisici, scientifici e descrittivi, egli contrappone la durata reale, ossia il tempo che scorre nella nostra coscienza, il tempo autentico; se vogliamo compiere un'analisi dell'interiorità, dobbiamo rinunciare agli strumenti scientifici, che pretendono di dividere la realtà in parti uguali e omogenee, perfettamente misurabili mediante strumenti della fisica. Poiché solo il mondo esterno può essere spazializzato e suddiviso in parti uguali e perfettamente misurabili, per analizzare l’interiorità dobbiamo rinunciare al rigore del linguaggio scientifico: anziché utilizzare i concetti, utilizzeremo le immagini, ad esempio quelle della valanga (se si stacca una massa di neve e comincia a rotolare, accumula progressivamente sempre più neve, senza perdere quella presente in origine) e del gomitolo (arrotolando un filo su se stesso, il gomitolo cresce e continua a mantenere le sue caratteristiche: anche se c'è sempre del filo nuovo che si aggiunge, quello che c'era prima non sparisce ma, al più, resta nascosto) Il gomitolo e la valanga crescono, anzi concrescono senza perdere gli elementi iniziali.

La memoria, la coscienza e il tempo autentico (durata reale) possono essere ben rappresentate dalle immagini del gomitolo e della valanga, poiché nel tempo reale (quello della coscienza) nulla risulta mai veramente perduto, a differenza del tempo falso dello spazio. Nel tempo della scienza gli istanti sono differenti quantitativamente tra di loro: esso è un tempo reversibile, fatto di momenti distinti l'uno dall'altro (come una collana di perle), dove  gli spazi diversi si escludono a vicenda.

La durata si riferisce al permanere del  tempo: il passato viene continuamente accumulato nel tempo che scorre; i vari tempi non sono omogenei tra loro, a differenza dello  spazio, che può essere diviso in particelle uguali fra loro.

I tempi sono qualitativamente diversi, nel senso che i tempi successivi non escludono i precedenti, ma li recuperano come succede con il gomitolo o con la valanga: tutto resta presente e si arricchisce continuamente; pertanto il secondo momento è ricco di tutto quello precedente. Nell'interiorità ogni istante risulta arricchito dagli istanti precedenti e la "durata" consiste nel permanere dei tempi precedenti su quelli successivi. Nella durata reale in ogni istante successivo è presente il tempo passato: ogni fase del tempo opera un’azione di spinta e penetrazione in quella successiva: il passato viene conservato nella sua interezza e spinge verso il futuro (spontaneità).

Meccanicismo e finalismo sono due facce del determinismo. La maniera corretta per interpretare la realtà interiore non  può essere il finalismo ma neppure il meccanicismo. Bergson ricorre all'idea  della spontaneità, considerata come un flusso di coscienza in cui non si possono distinguere nettamente ritagliare i singoli momenti (perché che ogni momento è presente anche in quello successivo); in essa non vi è nulla che sia già determinato; tutto crea continuamente, spingendo verso una forma che non può essere contenuta in nessuna determinazione. La spontaneità presuppone necessariamente anche la libertà: se il passato spinge verso il futuro, nulla di ciò che avviene ipuò essere previsto in modo preciso e rigoroso: lo slancio vitale è una forza creatrice sempre in grado di produrre qualcosa di nuovo.

Non più la scienza e l'intelligenza ma la metafisica e l'intuizione ci permettono di cogliere direttamente i dati immediati della coscienza, la durata reale, il flusso della coscienza, la spontaneità e la libertà di ciò che avviene nell’interiorità, che sfuggono completamente allo sforzo determiistico che domina il mondo esterno.

L’immagine è più di una rappresentazione, ma meno di un oggetto; è un'esistenza a metà strada tra oggetto e rappresentazione. L’oggetto è un’immagine che esiste in sé, indipendentemente dal soggetto che la percepisce. La memoria non è riducibile al cervello, ma è caratterizzata da ha una dimensione autonoma e spirituale, mentre il cervello è un meccanismo che si limita a  filtraregli eventi. Nulla si perde nella memoria: la mente è memoria e tutte le nostre esperienze sono custodite in essa.

All'intelligenza,che domina il mondo esterno atytraverso la scienza, Bergson contrappone l'intuizione, che costituisce la base della  la metafisica, l'unica che riesca a cogliere il flusso della coscienza e l'essenza dall'interno della vita psichica.

 

Ne L'evoluzione creatrice Bergson tende a vedere nel cosmo il corrispondente della coscienza, ossia un principio comune, uno slancio vitale che governa l'evoluzione del mondo vivente.

Eliminando ogni dualismo e ogni ingiustificata  frattura tra mondo spirituale e mondo fisico, Bergson ammette un unico principio valido per l'intera realtà; se la realtà è una e una sola, basta un unico principio per coglierla interamente. Non dobbiamo più parlare di due realtà differenti (anima e corpo) e dunque non dobbiamo più ricorrere a due strumenti diversi per conoscerli: l'intelligenza e l'intuizione non colgono più due realtà distinte fra di loro, ma indagano con due modalità diverse l'unica realtà esistente. 

Tutta la realtà nasce da uno slancio vitale, creativo e spontaneo, che non puà in alcun modo essere determinato: nell'interiorità vi è un flusso, un processo che coinvolge non solo la coscienza, ma tutta la realtà.

La durata reale non si riferisce solo alla coscienza ma ci offre una chiave di lettura del mondo vivente e dell'intero universo. La coscienza e la materia, pur avendo due tempi (la durata reale e il tempo spazializzato) e due diversi strumenti (l'intuizione e l'intelligenza), non devono più essere contrapposte: entrambe sono permeate dallo slancio vitale, che secondo Bergson corrisponde all'unico principio vitale di tutta la realtà.

Lo slancio vitale ci richiama alla mente la volontà di Schopenhauer: essa è un principio unico che dà origine a tutta la realtà,  e che spiega l'evoluzione del mondo vivente.

A questo punto nasce un problema: se ammettiamo un unico principio spirituale, come si spiega la materia? Bergson risponde che nell'evoluzione lo slancio vitale penetra nella materia e la spinge in direzioni diverse: gli esseri viventi contengono in sé lo slancio vitale, pur rimanendo esseri animali incarnati nella materia; ogni essere vivente è il risultato della spinta data dall'unico slancio vitale, che di fronte alla materia a volte si ferma, altre volte spinge oltre. Lo slancio vitale, che ha un’essenza spirituale, nel momento in cui esaurisce la sua forza tende a manifestarsi come materia.

 

Questo evoluzionismo, a differenza del pensiero di Darwin, è carico di spiritualismo e si configura come una lotta perenne tra slancio vitale e materia inerte che lo frena.

Le specie animali sono tra loro diverse perché in alcune lo slancio vitale arriva in alto faacendo prevalere la natura spirituale rispetto a quella materiale. Nelle  forme vegetali l'identità spirituale resta quasi bloccata dallla materia che, negli animali e soprattutto nell'uomo, viene spinta e superata qualitativamente e quantitativamente.

Lo slancio vitale, come un fuoco d'artificio, sale verso l'alto ma esaurisce la sua spinta e tende a ricadere al suolo; ad esaurirsi non è lo slancio infinito, bensì i singoli frammenti che si spengono e tendono a ricadere.

Nell'uomo, che costituisce il vertice dei vertebrati, l'intelligenza può esprimersi nella dimensione dell'istinto, dando vita all'intuizione, una forma di intelligenza istintiva che ci consente di avere la certezza immediata e interiore dell'istinto e la coscienza propria dell'intelligenza. 

Nel saggio Il riso  Bergson si concentra sui principali aspetti della comicità: essa è legata a un fattore umano (la natura in sé non fa ridere, ma un essere umano che cade o fa le smorfie stimola l'ilarità); è legata all'insensibilità (fa ridere ciò che smuove l'intelligenza e non i sentimenti); ha una natura sociale (è condivisibile con altri esseri, fino ad essere "contagiosa").