LEIBNIZ (1646 – 1716)

 

Logica, matematica e fisica

Leibniz fu l’iniziatore della logica formale e sostenne che le regole cartesiane sono precetti psicologici, ma non offrono alcuna garanzia obiettiva. La logica deve esaminare la struttura formale della verità. Essa deve scomporre le proposizioni dimostrabili nei due princìpi di identità e di non – contraddizione; inoltre deve utilizzare simboli logici universali. Come Cartesio, ammira la matematica e si propone di rielaborarla secondo i principi della logica.

Intorno alla natura supera il sapere puramente filosofico, che ne indaga i principi universali, ma non permette di conoscere i fenomeni naturali per realizzare un sapere scientifico, che coglie l’aspetto quantitativo e matematizzante della natura, fornendo all’uomo conoscenze specifiche dei fenomeni naturali, senza rinunciare a scoprire i principi ultimi.

 

La materia

Leibniz critica la concezione di res extensa di Cartesio (sostanza materiale): l’estensione è omogenea e uniforme; pertanto non può differenziarsi in grandezze e figure distinte; inoltre l’estensione, essendo divisibile all’infinito, non può essere sostanza, che ha come caratteristica essenziale l’unità; infine l’estensione di per sé è inerte: come spiegare la forza e la resistenza della materia? Contro Cartesio Leibniz sostiene che la materia è estensione più energia.

Non esiste una dualità di pensiero e materia, come sosteneva Cartesio: nell’universo tutto è spirito ed è dotato di forza. Contro Spinoza Leibniz afferma la molteplicità delle sostanze. Mentre la teoria atomistica sostiene che la materia è costituita da particelle indivisibili, per Leibniz la materia procede all’infinito (principio di continuità: natura non facit saltus). Non esiste un’unica sostanza, ma nell’universo esistono infinite sostanze. Tutta la materia è vivente. La materia non è sostanza, ma un aggregato di sostanze ed è infinitamente divisibile in elementi ultimi che non sono corporei ma sono inestesi, sono punti metafisici. La materia è costituita da monadi.

La vera sostanza, secondo Leibniz, consiste nella forza: essa deve essere inestesa e indivisibile, semplice, ma attiva, ossia dotata di energia. Questa sostanza inestesa è un vero centro di forza: la monade.

 

La monade

La monade è un atomo spirituale, è unità, è una sostanza semplice, senza parti: è reale e dotata di energia. Essa è un punto inesteso provvisto di forza, che ha in sé la propria finalità interiore. Le monadi sono infinite, indivisibili, indistruttibili e immortali, individuali, non scomponibili, inestese, qualitativamente differenti l’una dall’altra.

Ogni monade è uno “specchio vivente dell’universo”: ciascuna rispecchia l’universo in modo leggermente diverso, ossia rappresenta un diverso punto di vista di Dio. Se due monadi fossero simili, sarebbero una sola cosa. Le monadi hanno inizio per un atto di creazione di un Essere onnipotente, Dio.

La monade non ha né porte né finestre, perché non può ricevere nulla dall’esterno. La monade è forza rappresentativa: ricava da se stessa una molteplicità di contenuti mentali; inoltre è forza appetitiva: appetisce di passare da una percezione all’altra.

Non esistono due monadi uguali in tutto l’universo (principio degli indiscernibili).  Non tutte le monadi presentano il medesimo grado di percezione e appetizione: secondo il diverso grado di perfezione le monadi sono disposte in gerarchia. Le monadi più imperfette hanno una percezione oscura e confusa. Ad un grado intermedio vi sono gli animali, dotati di sensibilità e istinto. Più in alto vi sono gli uomini, animali ragionevoli perché sono dotati della coscienza di percepire e di volontà.

Al vertice vi è Dio, che tutto distingue e conosce con assoluta perfezione.

 

Dio

Poiché ogni monade è chiusa nella propria vita interiore, Leibniz spiega la concordanza fra gli stati delle varie monadi richiamandosi alla monade suprema, Dio.

Prova a posteriori (dagli esistenti): tutti gli esseri che conosciamo ci conducono a Dio, essere necessario la cui essenza implica l’esistenza. Il Dio di Leibniz è un Dio-persona, identificabile con il Dio cristiano.

Prova a priori (dal concetto di Dio). Poiché le sostanze non possono agire reciprocamente le une sulle altre, l’evidente rapporto causale esistente nell’universo (armonia prestabilita) conduce a Dio.

 

Corpo e anima

Ogni monade ha in sé una massa di percezioni oscure e confuse (elemento passivo) e di percezioni chiare e attive (elemento attivo). La passività corrisponde alla materia prima; l’attività corrisponde alla spiritualità. Pertanto ogni monade è costituita da passività e attività, da materia e spirito.

Esiste inoltre una materia seconda, costituita da aggregati di monadi. Il corpo umano e animale è materia seconda. Solo i corpi sono estesi, in quanto sono composti da sostanze; essi sono divisibili e distruttibili, ossia mortali.

Nell’uomo la monade centrale prende il nome di anima; le monadi periferiche formano il corpo o materia seconda: anima e corpo formano l’organismo vivente. Nascita e morte sono trasformazioni mediante le quali la monade meno imperfetta (l’anima) acquista o perde altre monadi più imperfette che sono subordinate ad essa. Le monadi sono eterne e indistruttibili; i corpi sono aggregati che possono unirsi o dividersi.

Per quanto riguarda il rapporto fra le monadi-corpo e la monade-anima vi è un legame speciale che le collega soltanto per tutta la durata dell’esistenza individuale.  Corpo e anima sono come due orologi che sono stati costruiti con tanta perfezione da presentare sempre un accordo fra loro (armonia prestabilita). L’anima e il corpo seguono ognuno le proprie leggi, ma l’accordo è stato stabilito da Dio all’atto della creazione.

Poiché la materia prima è data dalle percezioni oscure e confuse di ciascuna monade, la materia è un fenomeno: la vera realtà è data dalla spiritualità delle monadi. Come la materia, anche spazio e  tempo non sono reali, ossia non hanno una vera e propria realtà, ma sono apparenze sensoriali, fenomeni. Egli critica le nozioni di tempo e spazio assoluti (Newton): lo spazio è determinato dall’ordine dei coesistenti; il tempo è dato dall’ordine dei successivi.

 

La conoscenza

Solo un intelletto infinito può possedere una conoscenza perfetta e completa della sostanza e delle sue proprietà sia logiche che di fatto; gli intelletti finiti devono limitarsi a conoscere le proprietà di fatto basandosi sull’esperienza. I sensi non ci forniscono informazioni su ciò che è esterno a noi. L’esperienza spiega le verità di fatto e contingenti, ma non le verità di ragione e necessarie. Per queste ultime vi è una ulteriore fonte di conoscenza: la ragione. Vi è differenza fra coscienza e conoscenza: l’uomo possiede delle conoscenze di cui non ha coscienza. Se ogni conoscenza derivasse dai sensi, non sarebbe possibile dimostrare neppure un solo teorema matematico. Pertanto occorre ammettere l’innatismo. La vita psichica passa dalle percezioni oscure e confuse (inconsce) ad appercezioni sempre più consapevoli, grazie all’attenzione. Esistono idee innate negli uomini, ma non sempre ce ne rendiamo conto perché non sempre si presentano con la medesima chiarezza in tutti gli uomini.

La conoscenza consiste nel passaggio da percezioni confuse a percezioni distinte, grazie alla riflessione che, ripiegandosi su se stessa, ci fornisce i concetti metafisici (essere, sostanza, identità,  causa) e alla ragione, che fornisce le verità necessarie, il cui opposto è assurdo.

 

Verità di ragione e verità di fatto

Le verità logiche, basate sui principi di identità e di non contraddizione, si riferiscono alle essenze ed hanno un carattere formale (possibilità): si tratta di verità a priori, di proposizioni in cui il predicato è identico al soggetto (il soggetto contiene il predicato). Il loro opposto implica contraddizione.

Le verità di fatto (storiche) sono verità a posteriori e si riferiscono alle esistenze ed hanno un carattere concreto (realtà). Esse sfuggono ai principi di identità e di non contraddizione, ma rispondono al principio di ragion sufficiente: nulla accade senza che vi sia una ragione perché accada così e non altrimenti. Il predicato non è identico al soggetto: perciò può essere negato o contraddetto; ma è collegato al soggetto dal principio di ragion sufficiente, che è il principio di ordine delle cose, che le collega fra loro in modo libero.

Distaccandosi da Spinoza Leibniz considera i due ordini distinti e inconfondibili. La realtà è contingente: non è possibile eguagliare ordo rerum e ordo idearum. Alla mente umana le verità di fatto appaiono contingenti. Lo scienziato cerca di comprendere il contingente e di farlo apparire necessario. Solo Dio è in possesso di una scienza perfetta e vede tutto alla luce della necessità.

 

Il mondo

Nell’atto della creazione Dio ha scelto, fra i vari mondi possibili, proprio quello attuale (il migliore dei mondi possibili).

Anche se non è un mondo ottimo, per la presenza del male, è il più perfetto che potesse venir creato. Per la sua finitezza, l’intelletto umano non coglie per intero la bontà dell’atto divino (ottimismo). Nel mondo esiste un ordine organizzato spontaneamente (armonia prestabilita); il mondo è libero: esso è il frutto di una scelta di Dio, che in esso ha realizzato un fine.

 

Il male nel mondo

Se Dio ha scelto il migliore dei mondi possibili, come si spiega l’esistenza del male? Dio, causa del mondo, è assolutamente perfetto.

Il male metafisico è implicito nella finitezza del mondo: Dio, essendo perfetto, ha scelto il mondo meno imperfetto. Tale imperfezione corrisponde al “male metafisico”. Da esso deriva il “male fisico”, ossia il dolore, legaton all’imperfezione delle monadi. Ciò che è dolore per le singole creature può essere segno di redenzione per la loro vita futura e un bene per l’umanità. Il male morale (il peccato) non deriva da Dio, ma dal cattivo uso che l’uomo ha fatto della libertà, allontanandosi deliberatamente a Dio. Perché Dio ci ha creati, pur sapendo che siamo imperfetti e compiamo il peccato? Secondo Leibniz è meglio un mondo in cui coesistono bene e male, perfezione e imperfezione, piuttosto che il nulla. Dio ha creato il mondo a fin di bene.

L’ottimismo di Leibniz divenne oggetto di amare ironie da parte degli illuministi francesi.