I Sofisti: Gorgia da Lentini

GORGIA

 

Gorgia (483 – 380 a.C.), nella sua famosissima opera Sul non essere (o Sulla natura), polemizza contro la filosofia parmenidea e specificamente nega l’identificazione dell’essere con il pensiero e il linguaggio.

Egli sostiene tre tesi paradossali:

  1. Nulla è;
  2. Se anche qualcosa fosse, non sarebbe pensabile;
  3. se anche qualcosa fosse conoscibile, non potrebbe essere comunicata agli altri.

 

1. Nulla è.

Se qualcosa esiste, ci sono due sole possibilità: ciò che esiste o è eterno oppure è stato generato.

Se è eterno, ciò che è eterno non ha un principio; se non ha un principio è infinito; ma ciò che è infinito non e in nessun luogo; ciò che non è in nessun luogo non esiste. Perciò l’essere non è eterno.

Se è generato, può essere stato generato dall’essere o dal non-essere.

Poniamo che sia stato generato dall’essere; ma se l’essere è, è già e non nasce da se stesso. Pertanto non è generato dall’essere.

Consideriamo la possibilità che sia stato generato dal non essere;  ciò è impossibile, perché il non essere non può generare nulla. Pertanto l’essere non è generato.

Se l’essere non è eterno e non è stato generato, non è (nulla è).

 

2. Se qualcosa fosse, non sarebbe pensabile.

Parmenide aveva sostento l’identità di essere e pensiero: per l’eleatico, quando pensiamo, pensiamo a qualcosa che è; il non-essere non è pensabile.

Secondo Gorgia, se l’essere si identifica col pensiero, anche il pensiero si identifica con l’essere. Se tutto ciò che si pensa è, allora esiste qualunque cosa io pensi. Ma se penso a qualcosa che non esiste, allora pensiero ed essere non coincidono. Orbene, io posso pensare ad una chimera o ad un uomo che vola; a tali pensieri non corrisponde l’essere; pertanto se qualcosa fosse, non sarebbe pensabile.

 

3. Se qualcosa fosse pensabile, non potrebbe essere comunicato agli altri.

La parola che pronunciamo è in noi e possiamo utilizzarla per indicare un oggetto che è fuori di noi; ad esempio con la parola bicchiere intendo indicare un contenitore di liquidi. Ma il bicchiere (o qualsiasi cosa intendo nominare), essendo sempre esterno a noi, è un oggetto che è diverso dal soggetto che parla, mentre la parola, essendo dentro di noi, appartiene al soggetto e non all’oggetto. Detto in parole più semplici, quando nominiamo il bicchiere, non indichiamo l’oggetto, ma solo il nome. L’oggetto fuori di me (il bicchiere) e la parola che è in me (il nome del bicchiere) sono diversi. L’oggetto in quanto esterno a noi, non può diventare la parole, che è in noi. Dunque le parole sono diverse dalle cose che sono; esse non indicano oggetti reali e non servono per comunicare ad altri le cose.

 

Con le sue tesi Gorgia ha distrutto il legame tra essere, pensiero e linguaggio, considerato indissolubile da Parmenide; egli stacca definitivamente le parole dalle cose e il linguaggio dalla realtà. Le parole non sono cose e le cose non sono parole. Le parole non sono legate né alla realtà (le cose nominate)  né al mio pensiero (poiché il pensiero non corrisponde alla realtà). Allora qual è la funzione del linguaggio? Il linguaggio è una realtà indipendente dalle cose, anzi è l’unica vera realtà. Qualsiasi affermazione facciamo, non risponde a nessun criterio di verità: l’unica verità del linguaggio, in quanto indipendente dalla realtà e dal pensiero, consisterà nella capacità di produrre effetti sugli uomini, nel persuaderli.

David - Paride ed Elena
David - Paride ed Elena

L’encomio di Elena

 

In quest’opera Gorgia dimostra che l’unica cosa che conta è la potenza del linguaggio, che può persuadere gli altri, convincerli, produrre effetti su di essi, ammaliarli. Egli sceglie la persona più colpevole di tutte al mondo, la bella Elena, a causa della quale scoppiò la guerra di Troia, che causò gravissimi lutti e provocò la morte di moltissimi guerrieri e la distruzione di una città considerata invincibile.

 

Ebbene, secondo Gorgia, Elena non è colpevole. Infatti, se seguì Paride perché innamorata, è colpa dell’amore, che la prese al punto da impedirle di resistere alla passione; se invece l’innamorato era Paride, è lui il responsabile del rapimento ed Elena non è colpevole. Se gli dei avevano stabilito che la guerra di troia dovesse avvenire, è colpa della divinità e non di Elena. Se era scritto nel suo destino che dovesse essere rapita, ugualmente ella non ha colpa. se Paride riuscì a persuaderla con le sue parole ammaliatrici, ugualmente la colpa non fu di Elena. Se invece tutto accadde per caso, allora la volontà dell’incolpevole Elena è stata soggiogata da forze esterne: il caso, il destino, il volere degli dei, i discorsi di Paride, le passioni.

 

Secondo Abbagnano questo testo, lungi dall’essere un semplice sfoggio di retorica, manifesta la fragilità e la nullità dell’essere umano, guidato dalle passioni, dal caso o dal destino . Esso è l'espressione del sentimento tragico dell'esistenza.